di Giuseppe De Pietro
Fondata in Svizzera nel 1693 dal vescovo Jakob Ammann ed emigrata in America intorno al 1700 per fuggire alle persecuzioni di cui fu oggetto, la comunità Amish “del vecchio Ordine” oggi risiede principalmente in Pennsylvania, tra Lancaster e Filadelfia. Più di tante altre comunità, gli Amish, sebbene siano poi divisi internamente in molti sottogruppi con regole e sfumature leggermente diverse, sono radicali nella loro visione: coltivano o allevano in casa tutto quello di cui hanno bisogno per vivere, le donne cuciono i vestiti per tutta la famiglia, inquinano poco o niente, non utilizzano il telefono, l’elettricità o qualsiasi tecnologia non fosse utilizzata già dai loro nonni, rifuggono la modernità in virtù di uno stile di vita d’altri tempi. Questo soggiorno cade verso la fine di un viaggio coast-to-coast da Los Angeles a New York e dormire a casa di una famiglia Amish è la ciliegina sulla torta. Dopo aver visionato le scelte possibili – otto fattorie con diversi gradi di interazione con la famiglie ospite – optiamo per la casa di Ben, a Ephrata, nella contea di Lancaster. A quanto pare, si tratta dell’opzione che prevede l’esperienza più autentica, mancanza di elettricità compresa. Gli Amish sono una comunità religiosa e tradizionalista. Fortemente legati alle tradizioni, vivono tutti gli aspetti. della propria vita tra: lavoro, religione, istruzione, vita privata e divertimento. Le loro origini risalgono al 1500, nell’ambito della Riforma Protestante di Martin Lutero. Vivevano nelle vallate svizzere, tra pascoli, fattorie e montagne, impegnati da mattina a sera nel duro lavoro, permesso dalle rigide regole dell’Ordnung solo nell’agricoltura, nell’allevamento e nell’artigianato in modo da non rovinare con la tecnologia la purezza del creato.
Nel 1700 dalla Svizzera ma anche dall’Olanda, dove si era sviluppato il movimento molto simile dei Mennoniti, questa gente laboriosa e pia per sfuggire alle persecuzioni in Europa causate soprattutto dalla loro caparbietà a battezzarsi solo da adulti, si trasferì negli Stati Uniti, specie nelle praterie dell’Ohio, dell’Indiana, del Missouri e della Pennsylvania, la regione che ha come capitale Philadelphia. Anche qui condussero sempre una vita nascosta, ritirata, rinchiusa nelle proprie comunità rurali: campo, messa, famiglia e poco altro. Il panorama che offre si presta benissimo a narrazioni di antiche abitudini, retaggio di quel mondo contadino che ne caratterizza fortemente la parte centro meridionale, a fronte di quella settentrionale che si affaccia sui Grandi Laghi ed ha invece un’anima profondamente industriale.
La strada corre tortuosa tra i campi di granturco e le verdi praterie della Pennsylvania che si estendono a perdita d’occhio punteggiate di staccionate verniciate di fresco e fienili rossi incorniciati di bianco. Il limite di velocità segna 55 miglia all’ora, ma in realtà il traffico scorre molto più lentamente: massimo 10 miglia. È questa la velocità a cui i cavalli spingono le carrozze e, qui nella contea di Lancaster, le carrozze sono il mezzo di trasporto più comune. A guidarle sono uomini e donne in abiti modesti, i primi con bretelle e cappello di paglia, le seconde in lunghi vestiti di cotone con tanto di grembiule e cuffia a coprire il capo: gli Amish. Sono sempre stata incuriosita dalle comuni per il loro fascino arcaico: alla base ci sono sempre valori di condivisione, fratellanza, rispetto della natura, uno stile di vita semplice e frugale dove l’auto-sostentamento e la collaborazione col proprio vicino giocano un ruolo essenziale. Spesso si tratta di mondi molto lontani dal nostro, che corre ben oltre i 55 miglia all’ora in una trafficatissima rete di iperconnessioni continue ma prive di materia.
Dall’esterno la casa non è diversa dalle altre della campagna statunitense: un edificio in legno semplicissimo con portico e tetto spiovente. Grande perché deve ospitare, a turno con le case degli altri, circa due volte l’anno, le funzioni religiose. Per questo motivo di solito le camere stanno al piano di sopra, mentre al piano terra di solito si trovano le stanze più ampie e dedicate alla condivisione. Appena arrivati, in giardino ci attende una pecora dal manto rossiccio legata a un lungo guinzaglio che non ci degna di uno sguardo perché impegnatissima a brucare l’erba. Scopriremo che si chiama Peanut Butter e, appena nata, è stata rigettata dalla madre per il colore del manto (non bianco, al contrario di quello della gemella) al punto di rifiutarsi di darle da mangiare.
Ci accoglie Ben, un ometto basso e mingherlino, con i capelli e la folta barba grigia, gli occhi azzurri lattiginosi fissati su un volto deformato da un ictus, le mani solcate dalle vene gonfie e callose come quelle di chi lavora la terra. Indossa una camicia azzurro intenso e dei pantaloni neri con le bretelle. Ci sorride con la bocca storta e uno sguardo gentile. “Adesso ci sediamo qui in giardino e parliamo un po’” dice. Io però prima di tutto devo andare in bagno, quindi entro in casa. A fissare la scena da dietro la finestre c’è una donna in sedia a rotelle che, quando varco la soglia, mi rivolge un sorriso mesto e un saluto flebile. Inizialmente penso sia la moglie di Ben, invece poi scopro che si tratta della sorella della moglie, che vive qui anziché in una casa di riposo perché “a noi Amish piace prenderci cura della nostra gente”. La sala-cucina è ampia, il tavolo al contrario è molto piccolo: ci sono solo tre posti. Non c’è una televisione. Ai fornelli trovo Emma, la moglie di Ben, appunto, intenta a preparare zucchine fritte che “fanno male, ma piacciono tanto a tutti”. È vestita al modo delle donne Amish: abito in cotone verde scuro abbinato a un grembiule bianco e scarpette nere rasoterra, sul capo la cuffietta bianca simbolo delle donne sposate – al contrario, quelle single indossano una cuffia nera. Ha il volto scheletrico e gli occhi infossati e dietro il suo sorriso ostentato scorgo, o forse soltanto immagino, la riprovazione davanti al mio outfit: una gonna lunga, ma non abbastanza da coprire le caviglie, una camicia pudica, ma non abbastanza accollata. Eppure mi ero impegnata. Insomma, c’è qualcosa nell’affettata gentilezza di Emma che mi mette a disagio. Ben invece adora gli “Inglesi” – come gli Amish chiamano qualunque non-Amish, di qualunque nazionalità sia – e si vede. Quando torno in giardino, decide di farci vedere gli animali della fattoria, mucche, galline, pecore, qualche cavallo, e poi succede qualcosa di magico: dice “aspettate, vado a mettermi il cappello” e quando torna, cappello di paglia a tesa larga annesso, ci porta a fare un giro in carrozza. Il portone di quello che sembrava un normale garage si apre per rivelare due carrozze, una più piccola che utilizzano per le funzioni della domenica, e una più grande per portare in giro l’intera famiglia.
Gli Amish ci sono ma non si vedono; o meglio si vedono poco, sempre indaffarati intorno al lavoro dei campi e per di più in orari proibitivi. Si alzano alle quattro del mattino, rientrano in casa al calar del sole e si mettono a fare figli (almeno sette per ogni coppia). Quando appaiono ti sembra di vivere il set di un film: consapevoli e sereni nei loro abiti antichi, ti salutano educatamente mentre, posseduto da un raptus compulsivo che è di ineluttabile curiosità, ne carpisci i tratti con scatti a raffica che loro sopportano con cortesia, forse consapevoli della loro stoica unicità.
Purtroppo la gita di domenica non favorisce un completo impatto con le attività della comunità poiché, da rigorosi osservanti quali sono, gli Amish santificano le feste trotterellando nelle loro carrozze nere ed eleganti, tra chiese e visite di cortesia per riunioni di ambito religioso o lavorativo, proprio come si faceva una volta in campagna anche dalle nostre parti. Dalle piccole feritoie delle sedute posteriori, incorniciate in ampi cappelli di paglia, fanno capolino dolci faccine di bimbi biondi come il grano. Stenti a credere che potranno vivere una vita che rifiuta il progresso e ti viene il dubbio se stiano meglio loro, con il fieno, il granturco e l’avena, o tu che, con il tuo smartphone di ultima generazione, ne immortali l’intimità. Ogni coppia procrea almeno sette figli ed è una delle popolazioni con più alto incremento demografico al mondo: insomma quando arriverà l’Armageddon che ci estinguerà, sopravvivranno due cinesi ed un Amish, che a quel punto dovrà adattarsi.
Poi all’improvviso il bucolico divagare si sofferma su un particolare non da poco: che ci fanno due simpatiche vecchiette con il tradizionale costume locale. Fine del sogno: non c’è niente da fare: “non ci sono più gli Amish di una volta!”. Ero a casa, tardo pomeriggio, lavoravo come al solito. Improvvisamente se ne andata la luce.
“Ottimo” penso io, “ho solo da rispondere a 150 email, ho il telefono quasi scarico e non ho internet per il pc. Davvero una bella situazione di m…”
Mi accorgo ben presto che il problema più grande, però, non è internet. Niente elettricità significa fare un salto indietro nel tempo di qualche secolo, sotto tutti i punti di vista. Dal pc la preoccupazione si sposta rapidamente alla TV che non posso avviare per un film, al cibo nel congelatore e nel frigorifero per finire alla luce che non posso accendere per evitare di sbattere le ginocchia sui mobili con imprecazioni annesse. Anche perché, non so te, io non vedo una candela dalla mia prima comunione. Dopo il panico, la rassegnazione e infine l’accettazione. È stata un’esperienza quasi mistica. Devo essere onesto: dopo diverse ore trascorse al buio e da solo con me stesso, tornare alla normalità è stato strano. Ogni tanto penso di staccare il contatore di casa per ripetere l’esperienza.
Il pudore e la sobrietà sono sicuramente tratti distintivi di questa comunità, aspetto che emerge immediatamente dal loro abbigliamento. Condurre una vita semplice, motivo per cui rifiutano l’utilizzo dell’elettricità (in qualsiasi applicazione) e ogni moderna tecnologia. Si spostano in maniera “ecologica”, come si faceva un tempo: in piccole carrozze trainate da cavalli. Hanno un’istruzione chiusa: i bambini Amish possono frequentare solo le scuole private della comunità, vietate a chiunque non ne faccia parte. Sono pacifisti e professano la non-resistenza, motivo per cui non sono obbligati a prestare servizio nell’esercito. Non hanno assicurazione sanitaria, in quanto è compito della comunità prendersi cura di ogni suo membro. Beh, sono sicuramente all’antica e con un modo di vivere difficile da accettare per noi, ma hanno una struttura sociale solidissima e un forte senso di appartenenza alla comunità. Non a caso la crescita demografica è in costante aumento e la popolazione Amish diventa sempre più numerosa col passare del tempo! Il Rumspringa (che potremmo riscrivere come “running around”) è quel periodo di due anni che viene concesso ad ogni Amish per andare a scoprire il “mondo moderno”. Compiuti i 16 anni, i ragazzi Amish sono considerati adulti e hanno questo periodo sabbatico per lasciare la famiglia, conoscere il mondo esterno alla comunità e fare ogni tipo di esperienza fino a quel momento vietata. Dopo il Rumspringa decidono se tornare alla loro vecchia vita e rinunciare per sempre alla modernità, oppure abbandonare amici e famiglia abbracciando il nostro stile di vita moderno e tecnologico. Una comunità così rigida e chiusa? La cosa interessante è che circa il 95% di coloro che terminano il Rumspringa, poi decidono di tornare nella comunità Amish di appartenenza e continuare la propria vita tradizionalista. Sembra assurdo che la percentuale sia così alta eppure i dati non mentono. |