di Giuseppe De Pietro
Hanno tra i 15 e i 49 anni, più un terzo sono straniere e l’aggressore prevalente è il compagno. E’ la fotografia della donna vittima di violenza che emerge dai dati del Ministero della Salute. Controllo e risposta alla violenza su persone vulnerabili: la donna e il bambino, modelli d’intervento nelle reti ospedaliere e nei servizi socio-sanitari in una prospettiva europea.
Le conseguenze della violenza sullo stato di salute della donna assumono diversi livelli di gravità che possono avere esiti fatali (femminicidio o interruzione di gravidanza) o molto invalidanti come conseguenze di trauma (ustione avvelenamento o intossicazione) e psicologiche con problemi di salute, depressione, abuso di sostanze e comportamenti auto-lesivi o suicidari, disturbi alimentari, sessuali.
Come ben sapete, la violenza, sia che essa si concreti in atti fisici sia che venga esercitata sotto l’aspetto psicologico, genera costi elevatissimi in termini umani e di sofferenza. Anche perché la spirale della violenza non coinvolge solo le donne, ma ‘avvolge’ anche i loro figli che involontariamente diventano testimoni degli episodi di violenza e delle umiliazioni a cui sono sottoposte le loro mamme. Senza pensare ai casi drammatici in cui i bambini stessi sono vittime dirette di violenza, abusi e maltrattamenti.
La violenza contro le donne rappresenta ‘un problema di salute di proporzioni globali enormi’. L’abuso fisico e sessuale è un problema sanitario che colpisce oltre il 35% delle donne in tutto il mondo e, cosa ben più grave, è che ad infliggere la violenza sia nel 30% dei casi un partner intimo.
Anche il nostro Paese non sfugge a questa triste realtà: gli ultimi dati italiani dimostrano che la violenza contro le donne è ancora un fenomeno ampio e diffuso anche se, va detto, emergono importanti segnali di miglioramento rispetto all’indagine precedente. Ciò è frutto di una maggiore informazione, del lavoro sul campo ma soprattutto di una migliore capacità di prevenire e combattere il fenomeno e di un clima sociale di maggiore condanna della violenza.
Come obiettivo generale, l’armonizzazione e la valutazione di efficacia dei protocolli di riconoscimento, accoglienza, presa in carico e accompagnamento dei casi di violenza sulla donna, in ambito relazionale, o sul bambino.
Sono certo che, grazie agli importanti risultati raggiunti, il nostro sistema sanitario sarà in grado di offrire servizi sempre più adeguati e rispondenti alle diverse situazioni, in un’ottica allargata e multidisciplinare che tenga in considerazione contemporaneamente aspetti fisici e psicologici, con una presa in carico complessiva delle vittime che coinvolga anche la capacità delle stesse di reagire alla violenza e di affrontarla.
Il Piano Nazionale di Prevenzione nel macro-obiettivo di “promozione della salute mentale del bambino, adolescente e giovane” prevede tra i fattori di rischio da affrontare la violenza sessuale, l’abuso e la trascuratezza.
Dai dati che abbiamo emerge che per le donne vittime di violenza in età fertile (15-49 anni), oltre il 35% dei casi è dovuto ad aggressione da parte del coniuge o partner sentimentale (nei maschi è meno del 10%). Quasi l’85% dei casi di violenze su donne è compiuta da conoscenti (nei maschi tale percentuale è inferiore al 40%).
Dalla sorveglianza dei centri ospedalieri anti-violenza si osserva come nelle donne in età fertile (15-49 anni) il 37% delle vittime siano di nazionalità estera. Riguardo al contesto dell’aggressione questo, per le donne in età fertile (15-49 anni), il 5% delle volte è una violenza sessuale. Per le bambine (0-14 anni) viste nei pronto soccorso generalisti della medesima rete di sorveglianza, nel 17,9% dei casi la causa di accesso in PS per violenza è una aggressione sessuale.
Nello studio di follow-up di progetto, che seguiva donne vittime di violenza grave (continuità della violenza, abuso sessuale con penetrazione, trauma non superficiale, etc.), a 3 mesi dalla dimissione ospedaliera il 67,5% delle donne adulte vittime di violenza domestica o sessuale era affetta da patologia mentale di stress da disordine post-traumatico. Prevalenza della malattia significativamente superiore, di oltre 5 volte, a quella di corrispondente gruppo di controllo di donne non vittime di violenza. Valore paragonabile a quello delle vittime dirette di grandi disastri, compresi attentati terroristici.