di Giuseppe De Pietro
Quanti “frutti dimenticati” non sono più nella nostra tavola, piante di antica tradizione, abbandonate o accantonate a favore di colture più produttive. Le ricerche scientifiche e la cultura gastronomica, però, sono concordi nel sostenere il recupero di queste coltivazioni. Le caratteristiche e le proprietà benefiche dei cosiddetti frutti dimenticati, che, come vedremo, sono preziosi per diverse ragioni.
L’agricoltura, predilige determinate coltivazioni, ritenute preferibili per il consumo e per la commercializzazione. Nel Novecento questo processo ha vissuto una particolare accelerazione, fino a individuare le varietà che oggi dominano il mercato, a discapito di quelli che possiamo definire “frutti dimenticati”.
Conservabilità. Spesso i consumatori tendono a sottostimare l’importanza di questo aspetto, che invece è decisivo per il successo commerciale dei prodotti agricoli. Di conseguenza, i frutti capaci di resistere alle ammaccature e di mantenersi per settimane, sia durante il trasporto che in frigorifero, hanno un vantaggio fondamentale.
Taglia e aspetto. L’occhio vuole la sua parte, evidenza che al momento dell’acquisto può prevalere sulla reale qualità dei prodotti. Per questo la frutta “moderna” è più grande rispetto ai frutti dimenticati, oltre a essere sottoposta a lucidature e trattamenti per migliorarne ulteriormente l’aspetto estetico.
Dolcezza. Il gusto dei consumatori, in genere, predilige frutti dolci e dagli aromi non troppo complessi, come invece talvolta sono quelli dei frutti dimenticati.
Facilità di coltivazione. Le colture più semplici, resistenti ed economiche da gestire non possono che essere privilegiate. Come nel caso della conservabilità, anche questa caratteristica interessa la produzione e non il consumo, ma non per questo è meno importante.
Tali aspetti hanno decretato il declino delle produzioni “non conformi”, fino a relegarle nell’ambito dei frutti dimenticati. Oggi le varietà coltivate sono poche ed estremamente selezionate, in base a un miglioramento genetico rigoroso. Questo processo – affermatosi nell’ultimo secolo e soprattutto negli ultimi cinquant’anni – non va affatto criminalizzato, anzi. L’efficientamento delle produzioni e l’aumento quantitativo hanno avuto il grandissimo merito di rendere il cibo sempre più accessibile. In Italia il Centro di ricerca per la frutticoltura si occupa di miglioramento genetico delle coltivazioni, attraverso gli incroci. Queste selezioni non vanno confuse con gli organismi transgenici.
L’Italia può contare su un’importante banca della biodiversità, che custodisce il patrimonio genetico delle coltivazioni autoctone. Si tratta del Centro nazionale del germoplasma frutticolo, un ente che conserva e studia un immenso capitale naturale. Questa “riserva aurea” può essere utile per selezionare nuove varietà migliorate, ma anche per salvare coltivazioni già impiantate. In Italia e nel mondo esistono vari istituti simili, il più noto è probabilmente lo Svalbard Global Seed Vault, inaugurato nel 2008 e situato nell’arcipelago artico delle isole Svalbard, in territorio norvegese.
L’evoluzione agricola spinta dal mercato abbia avuto come effetto collaterale l’impoverimento della biodiversità, con il patrimonio ambientale, culturale e gastronomico che questa rappresentava. Entro il 30anni, si stima che il cambiamento climatico potrebbe determinare l’estinzione del venti per cento dei parenti selvatici di alcune coltivazioni molto diffuse, come le patate, i fagioli e le arachidi. Il pesco, il mandorlo e il ciliegio, appartengono progressivamente all’impoverimento varietale dell’albicocco e del pero sarebbe ancor più drastico. Nell’Italia meridionale, fra il 1950 e il 1983, sarebbero state abbandonate 75 delle 103 varietà locali. Il patrimonio di biodiversità vitivinicola merita alcune precisazioni. Si stima che l’avvento della fillossera – un parassita di origine americana giunto in Europa alla fine dell’Ottocento – abbia determinato l’estinzione di centinaia di vitigni autoctoni, riducendone il numero iniziale a meno della metà. Secondo l’Unione italiana vini, oggi in Italia le dodici uve più coltivate occupano circa la metà della superficie vitata. In questo caso, a un fenomeno naturale involontariamente indotto dall’uomo ha fatto seguito una selezione mirata, per scopi commerciali.
I “frutti dimenticati” hanno una connotazione romantica e un po’ malinconica. In realtà, si tratta di piante che hanno accompagnato per secoli l’alimentazione umana, venendo utilizzate sia per il consumo diretto sia per per la preparazione di prodotti cotti o trasformati, da mangiare durante l’inverno. Si tratta sia di piante coltivate ma anche di arbusti spontanei, dai quali i frutti venivano comunque raccolti, garantendo rilevanti approvvigionamenti di cibo. Queste varietà sono centinaia, con caratteristiche molto diverse fra loro, anche se tutte, per diverse ragioni, non rientrano nelle logiche commerciali contemporanee. Molto spesso, però, i frutti dimenticati hanno proprietà eccellenti, sul piano della salute come in ambito gastronomico. Come vedremo, negli ultimi anni queste coltivazioni stanno vivendo una significativa riscoperta, spesso associata a determinati territori, attirando l’attenzione di una fascia di mercato in crescita. Questi frutti in genere hanno dimensioni ridotte e sapori decisi, con un corredo aromatico piuttosto ricco. Ecco le caratteristiche di alcuni di questi frutti dimenticati.
Il nespolo è il primo in questa lista di frutti dimenticati. Diffuso in tutta Europa come arbusto spontaneo, resistente al freddo e all’altitudine, è impiegato come albero da frutto sin dal tempo degli antichi Romani. La nespola ha forma rotonda e una buccia spessa, con un diametro di pochi centimetri. A causa dell’altissimo contenuto di tannini, questo frutto si consuma alla fine dell’autunno, solo dopo un periodo di fermentazione detto ammezzimento, che rende la buccia marrone e la polpa dolce, bruna, pastosa e leggermente acidula, con un retrogusto evoluto di fermentazione. Con le nespole si possono preparare marmellate, salse e liquori. Il legno della pianta, molto duro, era utilizzato in ambito falegnameristico. Oggi il nespolo è apprezzato anche per la sua bellezza.
Il giuggiolo, arbusto di probabile origine cinese, era conosciuto e apprezzato già nell’antica Grecia. La pianta, oggi abbastanza rara, predilige terreni asciutti e resiste bene al freddo. Il frutto, che si raccoglie all’inizio dell’autunno, ha un bel colore rossiccio brillante e una forma simile all’oliva. La polpa, dolce e dall’aroma persistente, ha una consistenza simile a quella della mela, che con la maturazione completa diventa più pastosa e bruna. Con le giuggiole si possono preparare sciroppi, canditi, liquori, confetture, oltre al celebre brodo, una specialità che risalirebbe alla corte rinascimentale dei Gonzaga. Questi frutti dimenticati hanno proprietà lenitive e antinfiammatorie, ma anche emollienti e idratanti per la pelle. La pianta ha valore ornamentale, mentre il legno è pregiato.
Si ritiene che il cotogno sia originario del Caucaso, pur essendo diffuso nell’area mediterranea e in Cina. La coltivazione di questa pianta ha radici plurimillenarie, anche se oggi è molto rara, in seguito a un forte declino iniziato negli anni Sessanta. Le due principali tipologie di cotogno si distinguono in base ai frutti, di forma irregolare, che possono assomigliare alle mele o alle pere. La pianta soffre la siccità e ha una maturazione tardiva, che completa in autunno. La polpa, dura e astringente, consente di usare il frutto solo per preparazioni a lunga conservazione. Con le cotogne si può preparare un’ottima marmellata, chiamata anche cotognata, ma anche gelatine, mostarde e distillati. Il frutto ha proprietà toniche e antinfiammatorie per lo stomaco e la digestione. In passato, questi frutti dimenticati erano utilizzati anche per profumare gli armadi, grazie alla grande ricchezza aromatica.
Il corbezzolo arbusto sempreverde produce una bacca di piccole dimensioni con polpa soda e sapore acidulo, che matura nel tardo autunno ed è utilizzata per realizzare marmellate, salse, canditi e altri prodotti da conservare. Se fermentati adeguatamente, i corbezzoli possono produrre una sorta di vino e un particolare aceto da esso ricavato. I frutti, i fiori e le foglie, inoltre, hanno proprietà antisettiche, antireumatiche e antinfiammatorie. La pianta è rara e ben considerata a scopo ornamentale.
Le sorbe sono tipici della fascia mediterranea meridionale, questo albero longevo ha diverse varietà e non è raro trovarlo in forma selvatica nei boschi collinari. I frutti, di piccole dimensioni, somigliano a piccole pere, e prima di essere consumati vanno lasciati fermentare come le nespole. Le sorbe hanno usi e proprietà simili ai frutti del corbezzolo, oltre ad essere diuretiche e ricche di vitamina C, flavonoidi e tannini. Il legno e le foglie della pianta venivano utilizzati in ambito tessile e falegnameristico. Oggi il sorbo è apprezzato nella vivaistica.
Le corniole sono di un arbusto dal legno molto duro che produce frutti simili alle olive, che in estate, raggiunta la piena maturazione, sono di color vinaccia. Questi frutti dimenticati sono dolci, carnosi e aciduli, adatti per preparare marmellate e infusi. Le corniole hanno proprietà toniche e astringenti.
Le azzeruole li da un arbusto oggi ornamentale di antica origine mediterranea, presente in forma selvatica soprattutto in collina. Le azzeruole hanno un gusto simile alle nespole, con le quali condividono anche le possibilità di utilizzo. Questi frutti contengono vitamina A e hanno proprietà lassative, diuretiche e antianemiche.
Ormai non si vedono più le ciliegie bianche. Si tratta di frutti dimenticati penalizzati dal mercato a causa del loro colore, che però cela un sapore molto dolce. Le ciliegie bianche, inoltre, deperiscono velocemente. Sono utilizzate anche per essere conservate sotto spirito o candite.
La pera volpina è una delle tante varietà di pere oggi pressoché abbandonate. Di piccola taglia, è un frutto autunnale adatto alle cotture e tipico della Romagna.
Il successo della pesca tabacchiera, chiamata anche saturnina, è un caso curioso ed emblematico, in merito alla possibilità di rilanciare e migliorare le varietà tradizionali. Questa pesca, piccola e di forma piatta, era tipica dell’Etna e pressoché sconosciuta fuori dalla Sicilia. Oggi la tabacchiera è ampiamente diffusa nella grande distribuzione e apprezzata dai consumatori, sia per la sua dolcezza che per le sue dimensioni da “spuntino”. Questa vicenda dimostra l’importanza del miglioramento genetico, quanto quella del recupero dei frutti dimenticati. Scienza e tradizione, in questo caso, si sono sposate perfettamente.
Conservare un’ampia gamma di varietà agricole è importante per diverse ragioni. Oltre ai valori culturali, salutistici e gastronomici, entrano in gioco rilevanti questioni legate alla conservazioni delle colture più diffuse. Alcuni geni recuperati dal passato, infatti, potrebbero rivelarsi decisivi per salvare le piante da nuove malattie. I frutti di cui abbiamo parlato, in realtà, non sono mai stati del tutto dimenticati. Le tradizioni locali spesso sono riuscite a preservare questo patrimonio di cultura e biodiversità. Fortunatamente, le iniziative territoriali di tutela e valorizzazione non sono mancate. Fra queste, possiamo citare la Festa dei frutti dimenticati, che da anni si tiene con successo a Casola Valsenio, sull’Appennino romagnolo.
Le varietà in questione, pertanto, sono sopravvissute ritagliandosi particolari nicchie di mercato, sia nell’ambito del consumo locale a chilometro zero, sia nella valorizzazione gastronomica basata sulle qualità uniche di questi prodotti. Ad ogni modo, sono sempre le scelte di noi consumatori a determinare il declino, il successo o il recupero delle coltivazioni. Grazie a una nuova consapevolezza, quindi, possiamo iniziare a parlare di frutti riscoperti, e non più dimenticati.
Rassegna di piante, fiori, frutti dimenticati
Castello di Paderna, Pontenure – Piacenza
sabato 6 e domenica 7 ottobre 2018