di Francesca Muzzopappa
Il pensiero oggi nella moda, più che di buone intenzioni, è lastricata di buone invenzioni, utili e profittevoli. Per carità: non siamo così cinici da considerare il fashion-system come una monade dorata indifferente ai problemi del pianeta. Però non c’è dubbio: la covata di una generazione di consumatori dalle quasi illimitate capacità di spesa è cresciuta. E vuole abiti, gioielli e accessori esenti da sensi di colpa, prodotti che oltre a qualità e autenticità possiedono un altro valore aggiunto: la sostenibilità. Da intendere in varie accezioni, naturalmente. Dall’evitare ulteriori danni alla terra causati da tinture e finissaggi, alla sicurezza che siano impiegati, nella produzione, lavoratori in regola, stipendiati. E possibilmente maggiorenni. Dalla salvaguardia del mondo animale, fino a quello minerale. Nel dizionario dei brand di alta gamma si fa sempre più strada la sovrapposizione tra “etica” ed “estetica” e si afferma il concetto di “responsabilità” che fa rima con “tracciabilità”. Un marchio del lusso veramente responsabile oggi deve saper tenere i contatti con tutti i componenti della filiera che dal disegno porta all’oggetto finito. E deve saper leggere nel futuro. Ovvvero: cercare di prevedere quanti vestiti o borse potrebbe produrre non oggi, ma tra dieci o vent’anni, senza compromettere la “brand reputation”, oggi quasi più indispensabile dell’estro artistico.
I designer debbono pensare a capi che durino il più a lungo possibile, invece che finire in una discarica dopo una settimana. Penso che i consumatori siano più coscienti. Nel vestire, nel mangiare, nel lifestyle in generale, ma non solo. Certi argomenti hanno dischiuso una conversazione: perché la moda non dovrebbe farne parte?». In tanti oggi sono a credere in toto che ambientalismo ed ecologia possano solcare le passerelle più prestigiose. Nulla, della sua collezione, ha origini animali, desiderabilissime it-bag e scarpe incluse. Perfino la seta è ricavata attraverso un particolare procedimento che evita di cuocere vivi i bachi. Questi sono gli alleati a cui si rivolgono stagione dopo stagione. E tanti stilisti dovrebbero dialogare con un mondo nuovo. Ma come si conciliare l’istanza della sostenibilità con un fashion system sempre più orientato al business? Per prima cosa, come designer, si dovrebbero creare oggetti belli e non necessariamente lussusosi, ma etici e responsabili. Sostenevano tanti colleghi che, nel XXI secolo, gli articoli di alta gamma sarebbero stati realizzati in maniera sostenibile, sposando design estetico e abilità artigianale. E in questo senso, una volta tanto, gli italiani hanno raggiunto un record positivo. La nostra fashion week comprende i designer più sostenibili del mondo. In questi ultimi anni molti dei beni di lusso hanno citato la sostenibilità come valore fondamentale nelle decisioni di acquisto. Che il made in Italy sia il più “pulito di tutti, è una felice eredità. Abbiamo una storia produttiva composta da una costellazione di aziende grandi, medie o piccole, quasi tutte a conduzione familiare. Molto spesso i produttori di moda vivono fisicamente vicino alle loro fabbriche e quindi è loro interesse, essendo coinvolti in prima persona, mantenere inalterato l’ecosistema. Fa parte del nostro dna, della cultura del “bel vivere” italiano, dove la piacevolezza visiva si è sempre unita ai valori che permettano di consegnare il pianeta alle prossime generazioni nelle condizioni in cui lo abbiamo ereditato. Non peggiori. Semmai migliori. Si vuole un modello imitabile dall’intero fashion-system: sostituendo alla parola “fashion” la parola “food”. Laddove il biologico, il chilometro zero, la dichiarazione d’origine hanno portato successo e riconoscimenti alla civiltà del bere e del mangiar bene, non si vede perché un menu simile non possa insaporire anche il mercato dei beni di lusso.
Alcuni gruppi, giganti della moda di cui fanno parte griffe, hanno condotto un programma di corporate responsability articolato in vari punti: il reperimento di materie prime in cashmere innovativo, tessuto composto per la maggior parte da cashmere reingegnerizzato proveniente da scarti, il disutilizzo di sostanze dannose. Producendo pelletteria metal-free, confezionata con processi di concia senza metalli pesanti, la riduzione del consumo di acqua, il controllo sui fornitori e lo sviluppo di professionalità concentrate su questi obiettivi. Inoltre vendere gioielli in oro certificato proveniente da miniere di piccola-media scala dove sono garantiti i più alti standard di responsabilità sociale e ambientale. Qualcuno lo stas già facendo con i gioielli da anni sostiene il “responsible mining” per proteggere terra, minatori e qualità introducendo i valori per esempio, trasformando i “red carpet” in “green carpet” indossando e facendo indossare abiti di produzione sostenibile. Il suo intento è garantire che lavoratori e produttori lavorino in condizioni sicure per sé e per l’ambiente, e dà ai fornitori più fidati un certificato di sostenibilità. Un progetto costruito con vari brand. La moda oggi è nella possibilità di saper tutto su ciò che compri. Qual è il futuro? Conquistare i consumatori e trattarli con intelligenza, le ricerche mostrano che le persone tendono a volere capi etici.
Diventiamo ecoisti. Una delle creatrice più in voga in questo periodo, linea di accessori più che sostenibili, risponde: Fino a poco tempo fa impiegare risorse considerevoli per adattarsi a situazioni ontingenze differenti, sembrava una strategia commercialmente non interessante. Mi sembra però che il futuro sia qui e ora, e siamo in tremendo ritardo. Il salto di qualità, in uno scenario molto prossimo, dovrebbe riguardare tutte le nostre azioni, da quello che ci mettiamo addosso al nostro stile di vita. Quanto è davvero possibile realizzare moda ecosostenibile in Italia? È nata dall’esigenza di creare qualcosa in linea con i nuovi bisogni del nostro tempo: una maggiore attenzione al pianeta e alle persone. Conoscendo a fondo le aziende tessili, ho iniziato a farmi delle domande. E quando uno si fa delle domande, lì inizia il cambiamento. Devo ammettere di aver avuto subito supporti importanti, e non dei buyer. Ma in Italia siamo ancora ancora molto indietro. Però è una sfida che si deve intraprendere. Penso che la prima sostenibilità sia quella da promuovere sul territorio in cui viviamo. Sposando la causa ecologica, il lusso definisce così una nuova priorità.