di Francesca Muzzopappa
L’originale impresa di Orange Fiber, dalle arance al tessuto. “Il nostro sogno è che da oggi, ogni volta che berrete una spremuta, penserete che ci sono due matte che cercano di trasformare lo scarto dell’arancia in un tessuto sostenibile per consumatori consapevoli”. Ci dice di Enrica Arena e Adriana Santanocito, le due giovani catanesi che hanno dato vita ad Orange Fiber, la startup insediata nell’incubatore d’impresa di Trentino Sviluppo che trasforma le bucce di arance e agrumi in tessuti. La presentazione ufficiale di questa novità ha avuto luogo già qualche anno fa, nell’iPoint dentro il BIC di Rovereto, le ragazze hanno presentato il primo prototipo di tessuto ottenuto unendo un filato di acetato ricavato da agrumi e seta. “In Trentino faremo ricerca e proveremo ad applicare il progetto anche alle mele”, annunciano le due startupper siciliane. “Da qualche anno ormai dall’inaugurazione gli spazi di preincubazione hanno ospitato tantissimi progetti, molti dei quali si sono già trasformati in impresa; attraverso il tutoraggio messe in campo da Trentino Sviluppo.
Come funziona, nel concreto, la produzione? Avete già creato dei prototipi? “Noi lavoriamo a partire dal sottoprodotto industriale creato dalla lavorazione dei succhi, in particolare da ciò che resta dalla spremitura delle arance. Questo composto è, in gergo, chiamato pastazzo. Dal pastazzo si ricava quindi la cellulosa, la quale, lavorata secondo particolari processi, viene trasformata in filato e quindi in tessuto. Nei tessuti saranno presenti i principi attivi vitaminici grazie all’aggiunta degli olii essenziali attraverso le nanotecnologie, che ne permetteranno il rilascio sulla pelle di chi li indossa, contribuendo alla sua elasticità e morbidezza. Non per questo i vestiti si deterioreranno, anzi! Il tessuto resterà morbido e bello a lungo, con l’aggiunta della funzionalità. Nella nostra azienda ci avvaliamo del supporto di un chimico industriale e di un ingegnere tessile proprio per avere un quadro quanto più completo possibile del processo di produzione.
L’avventura di Adriana Santanocito ed Enrica Arena è iniziata sui banchi dell’università: “Ci abbiamo pensato per la prima volta due anni fa, a Milano – raccontano – stavamo ultimando i nostri studi, condividevamo un appartamento e anche le nostre aspettative sul futuro”. Adriana voleva diventare una fashion designer specializzata in tessile, Enrica voleva un lavoro che avesse a che fare con l’imprenditoria sociale. Entrambe con un occhio alla sostenibilità. “Tra un’ipotesi e l’altra, l’idea: e se potessimo utilizzare gli agrumi per creare un tessuto sostenibile e vitaminico?” All’inizio, le ragazze hanno pensato di utilizzare il surplus di produzione: “Sapevamo che la gran parte della produzione totale viene buttato o neanche raccolto – spiegano – ma studiando e approfondendo abbiamo scoperto che in Italia, ogni anno, vengono prodotte quasi un milione di tonnellate di scarti industriali da lavorazione di agrumi”. Così sono partite dai resti delle arance. Adriana ha iniziato a studiare i processi di trasformazione delle biomasse in tessuti per la sua tesi di laurea e ha sviluppato un’ipotesi di fattibilità che ha poi verificato e brevettato insieme al Politecnico di Milano. Nel frattempo le due ragazze hanno anche sviluppato un processo per arricchire il tessuto con oli essenziali naturali che rilasciano vitamina C sulla pelle di chi lo indossa.
L’idea originale è piaciuta ed ha ricevuto diversi premi, riuscendo a entrare in percorsi di incubazione ed accelerazione di startup. È stata scelta tra le migliori idee imprenditoriali sostenibili da sviluppare allora durante la Expo 2015 e in questi giorni si è classificata al terzo posto come miglior startup italiana ai Macchianera Awards.
Alla fine l’idea di Enrica e Adriana si è concretizzata grazie a Trentino Sviluppo ed in particolare al programma Seed Money-FESR co-finanziato da Provincia, Stato ed Unione Europea, finalizzato all’avviamento di aziende innovative. Nel febbraio 2014 è nata l’impresa, con una sede in Sicilia, dove subito dopo la spremitura degli agrumi viene estratta la cellulosa, ed una a Rovereto. La filatura viene fatta in Spagna, mentre la tessitura del prototipo è stata effettuata a Como.
Dalle arance alle mele. “Dopo il prototipo, ora vogliamo andare in produzione e parallelamente, continuare con attività di ricerca e sviluppo”, confessano Enrica e Adriana. “Il Trentino è la sede adatta a questo, puntiamo a collaborare con i laboratori di biotecnologie dell’Università. Vogliamo lavorare sui principi attivi da abbinare al nostro tessuto, anche grazie alle nanotecnologie. Al tempo stesso vogliamo utilizzare nuove matrici organiche per la creazione di tessuti, ad esempio le mele”.
Le due ragazze, è proprio il caso di dirlo, hanno stoffa. Al momento stanno incontrando numerosi brand di moda interessati al tessuto e lavorano assiduamente al loro progetto: “Sogniamo che l’idea di trasformare gli scarti in prodotti innovativi, oltre a portare lavoro, contribuisca al rilancio del Made in Italy”.
http://www.orangefiber.it/