di Clara Racanelli
Una bella storia quella dei fiori e piante tra miti e leggende. I miei familiari sono di origine contadina, che mi hanno trasmesso questo amore. Quindi prediligo e adoro adoro i giardini selvaggi, the Wild English Gardens, dove fiori, rovi ed alberi si sposano con api, farfalle e cinguetii in un preludio della infinita sinfonia della natura. Dove il salice accarezza il trifoglio, dove la rosa canina impavida si erge tra cespugli di more; dove le cime dei larici ondeggiano compiaciute, i pioppi annuiscono nel loro continuo tremolio e la magnolia il tutto osserva nella sua regale compostezza. Nel giardino segreto, la natura e la sapiente mano dell’uomo si fondono in un perfetto equilibrio ed armonia. Di tanto, in tanto si snodano sinuosi vialetti e, ai lati, macchie stupefatte di colori da tavolozza impressionista, creano squarci di impensata bellezza. E fiori, fiori…! Ortensie, peonie, rose, dalie… Esistono fiori slanciati, eretti verso il cielo come tulipani, iris o papaveri ed altri piccoli, delicati come viole e mughetti che, timidi, s’inchinano alla terra che li ha fatti germogliare. La terra è la madre dei fiori, il sole ne è il padre, l’acqua è madrina e gli alberi sono i fratelli maggiori, che li proteggono dai raggi troppo cocenti e dalla violenta pioggia scrosciante. I fiori sono bellezza, tenerezza, gentilezza, un sorriso del cielo, un sospiro profumato che allarga il cuore, uno slancio d’amore del creato. I fiori parlano, bisogna saperli ascoltare. Essi sono così in simbiosi coi nostri sentimenti, che abbiamo inventato un linguaggio: il linguaggio dei fiori, per loro, per queste creature, la cui parola è unicamente la bellezza. I fiori dormono e si svegliano al mattino ingioiellati da brillanti gocce di rugiada. I petali, come piccole braccia strette al cuore materno, s’aprono piano, donando il primo sorriso al giorno, quando il silenzio è ancora profondo. Un fiore donato esprime, in modo eloquente che sempre commuove amore, amicizia, augurio, passione, gratitudine e, alfine, il perenne ricordo nel commiato. Adoro la vecchia panchina lignea nel mio giardino segreto, dove posso sostare ad inseguire i miei pensieri. Esiste un altro giardino segreto caro al mio cuore, conosciuto ed amato, dopo lunghi periodi trascorsi in Inghilterra: il cimitero, dove le tombe tra l’erba, alberi e fiori spontanei condividono il tempo. Anche nelle nostre valli si trovano spesso questi piccoli camposanti, mi piace chiamarli così, sempre con la chiesa che veglia benedicente. Nel silenzio si ode solo la voce del popolo degli uccelli, il vento o lo squittio di qualche scoiattolo curioso. Una commozione profonda mi pervade leggendo brevi epitaffi, parole scolpite nella pietra, messaggi di tenerezza, dolore, rimpianto per il caro defunto, in un legame d’amore imperituro. Ritratti sbiaditi, ricordano vite vetuste o stroncate in gioventù, sguardi vaghi, lontani… Non più tumulti, drammi, dolore. Ora… «Tutti, tutti, dormono, sulla collina»… nella pace del cimitero, come scriveva E. L. Masters nella sua Antologia di Spoon River. Spontanea la mia preghiera abbraccia in comunione, vivi e defunti. Così nel grande silenzio, lungi dal macabro fracasso di Halloween, il solenne mistero della morte ci ricongiunge a Dio.
La natura nella sua maestosità, racchiude affascinanti storie legate ad alcune sue creature botaniche. Miti e leggende anche millenarie, che raccontano le piante in una veste misteriosa, avvincente e romantica, talmente coinvolgente da suscitare maggiore fascino ed interesse rispetto alle loro proprietà terapeutiche e cosmetiche. Conoscerle, avvolgerà di poesia e di sentimenti la propria dedizione al mondo naturale. Ogni pianta ha una sua storia, generalmente legata alla mitologia greca. Eccone alcune, le storie dell’alloro, dell’anemone, della camomilla, del fiordaliso, del girasole, della lavanda, della menta, del narciso, del rosmarino, della salvia, del timo e dell’ulivo.
ALLORO (Laurus nobilis) Secondo il mito, la pianta di alloro fece la propria comparsa sulla terra a causa del folle amore non corrisposto del dio greco Apollo verso la bellissima ninfa Dafne, figlia del dio fluviale Ladone e della Terra. Il nome Dafne significa “lauro”, ovvero alloro, e costei fu il primo amore del dio Apollo. Tutto ha inizio quando Apollo, dopo aver sconfitto il serpente Pitone, si fece vanto delle sua prodezza al dio dell’amore Cupido, schernendo quest’ultimo sull’inutilità delle sue armi costituite da arco e frecce per una divinità non combattente, quale invece era lui, il dio del sole. Così per vendicarsi dell’offesa subita, Cupido con una delle sue frecce d’oro usate per far sbocciare l’amore, fece innamorare Apollo di una fanciulla a caso sulla terra, Dafne, la quale fu invece colpita da una seconda freccia, di piombo, che cancellava e rifiutava l’amore di chiunque. Apollo ardente d’amore e di passione per Dafne, le si dichiarò ricevendo come risposta un rifiuto culminato in una folle fuga per allontanarsi da lui, che la rincorse disperato fino a quando lei, ormai stremata, implorò il padre di trasformare il suo corpo amato dagli uomini, in un’altra cosa. Il padre addolorato per la figlia, esaudì il suo desiderio tramutandole la pelle in una scorza sottile, i capelli in foglie, le braccia in rami, i piedi in radici e il volto nella cima di un lauro, ovvero in una bellissima pianta di alloro. Apollo riconobbe nella pianta la sua amata Dafne e così decise di renderla una sempreverde e di considerarla a lui sacra, la sua pianta preferita che diverrà simbolo di gloria da porre sul capo dei migliori uomini, come poeti, eroi e vincitori, per incoronarli delle loro imprese e trionfi. Usanza che si è mantenuta in gran parte anche ai giorni nostri.
Considerata così la pianta della metamorfosi e dell’illuminazione, l’alloro divenne il simbolo della sapienza divina. Si pensava inoltre, che il suo profumo tipico potesse portare la mente umana ad elevarsi, risvegliando l’ispirazione e sollecitando la creatività.
ANEMONE (Anemone nemorosa L.) Nella mitologia greca, Anemone era la ninfa sposa di Zefiro, la divinità che rappresentava il vento dell’ovest e che con il suo caldo soffio produceva fiori e frutti. Anemone viveva nella corta della dea Chloride, della quale suo marito Zefiro era amante, ma nonostante ciò, Zefiro era solito indirizzare un soffio intensamente più caldo verso l’amata moglie, suscitando la gelosia di Chloride che voleva per se tutte le attenzioni di Zefiro. Chloride accecata dalla gelosia scacciò Anemone e Zefiro per proteggerla la trasformò nel fiore che ora porta il suo nome, un fiore che non schiude mai la corolla se non viene baciata dal caldo vento di Zefiro. Anemone infatti significa “fiore del vento”.
Una leggenda cristiana invece racconta che il fiore sia nato al tempo della crocefissione di Gesù, ai piedi della sua croce, ricevendo il colore rosso dal sangue uscito dalle sue ferite, da cui il nome di “le gocce di sangue del Cristo”.
CAMOMILLA (Matricaria chamomilla) Questa piccola e dolce pianta governata dal sole è una delle erbe officinali più conosciute, considerata fin dall’antichità per le sue potenti qualità terapeutiche. Nella mitologia egiziana, il fiore della camomilla era dedicato a Ra, gran dio del sole, ed era venerata per le sue grandi capacità medicamentose e cosmetiche, ma soprattutto perchè capace di sanare la febbre della malaria. Nel Papiro di Ebers (ca. 1550 a.C.) vi è una vasta documentazione sull’uso della camomilla da parte degli egizi.
Gli antichi Greci la consideravano una panacea, e pare che fu per la sua inconfondibile fragranza simile al profumo rilasciato delle mele mature, che alla pianta venne poi assegnato il nome camomilla, poichè nell’etimologia greca la parola “khamaìmelon” significa mela di terra o piccola mela, da cui successivamente la derivazione latina “chamomilla”. Secondo i medici greci Ippocatre e Dioscoride, la camomilla serviva a lenire i dolori del parto e a regolare il ciclo mestruale.
FIORDALISO (Centaurea cyanus l.) La storia del fiordaliso ha molte varianti. Nella mitologia greca, Chirone, un Centauro figlio di Crono, era molto famoso per il suo animo nobile e saggio, nonchè per il suo talento nel tiro dell’arco, nella medicina, nella musica e nella profezia, divenendo per queste sue doti il maestro di Achille, di Esculapio e di Ettore. Ferito accidentalmente ad un piede da una freccia avvelenata tirata da Ercole, Chirone potè salvarsi solo medicandosi con la pianta del fiordaliso, le cui proprietà furono scoperte da lui proprio in quell’occasione.
Un’altra leggenda classica è legata al nome del fiore che nel mondo classico era noto come “Cyanus”, alludendo al suo colore azzurro. Cyanus era anche un devoto della dea Flora, grande ammiratrice dei fiordalisi. Un giorno Cynaus fu trovato senza vita in un campo di grano con accanto a sè una ghirlanda composta proprio da questi fiori. Flora addolorata e colpita dalla devozione del giovane, fece attribuire a quei fiori il nome di Cyanus come segno della sua riconoscenza.
Nelle antiche leggende religiose russe, il fiordaliso è il fiore di Basilio, un bel giovane che fu sedotto in un campo di grano da una bella ninfa che poi lo trasformò proprio in un fiordaliso.
GIRASOLE (Helianthus annuus) Il girasole nasce da un amore mitologico non corrisposto, dall’effetto annullante. La ninfa Clizia si era innamorata di Apollo, il dio del sole, per questo ella indirizzava lo sguado sempre verso il cielo, per vedere passare Apollo sul suo carro di fuoco. Dopo un periodo giocoso fatto di lusinghe, tenerezze e seduzioni, Apollo si stancò dell’amore di Clizia e l’abbandonò. La ninfa addolorata e delusa, pianse senza interruzione per nove lunghi giorni in mezzo ad un campo rimanendo attaccata alla terra, mentre osservava Apollo attraversare il cielo sul suo carro. La poveretta rimase talmente immobile sulla terra che il suo corpo si contrasse, irrigidendosi, per poi trasformarsi in un sottile stelo ma molto resistente, mentre i piedi si spinsero fin dentro la terra e i capelli si tramutarono in una lucente corolla gialla. La ninfa Clizia divenne così il girasole, continuando ad inseguire il suo amore volgendosi al cielo alla ricerca del Sole.
LAVANDA (Lavandula angustifolia) Le storie sull’origine della lavanda hanno una sinfonia generalmente fiabesca. Quella più conosciuta narra di una bellissima fata di nome Lavandula nata e cresciuta fra le lande selvagge della montagna di Lure (Francia), che aveva i capelli biondi e gli occhi blu. Un giorno, la fata si mise in cerca di un bel posto dove andare a vivere e lo fece iniziando a sfogliare un libro di paesaggi, fino ad arrivare alla pagina della Provenza, la quale suscitò nella fata una grande tristezza a causa della sua terra incolta anziché fiorente. Così la fata iniziò a piangere macchiando la pagina della Provenza con le sue lacrime color lavanda. Per cancellare tutte le macchie e rimediare alla sua goffaggine, stese un grande pezzo di cielo blu sulla pagina rovinata. Da quel giorno, la lavanda cresce in quelle terre facendo nascere le fanciulle di Provenza tutte bionde e con occhi blu dalle sfumature color lavanda, sfumature che si accentuano soprattutto quando in estate, al calar della sera, si mettono ad osservare il cielo che scende sulle distese di questa pianta.
Un’antica favola persiana invece racconta un’altra orgine della lavanda: il re di Persia, aveva promesso in sposa ad un potente sultano la sua bellissima figlia, in precedenza affidata ad un giovane e colto tutore dagli occhi azzurri del quale si innamorò perdutamente, ricambiata. Un amore quello tra l’insegnante e la principessa destinato all’infelicità per motivi di Stato e differenza sociale. Ahura-Mazda, il dio egizio della Luce, ebbe compassione di questi due giovani amanti, e così una notte li accolse in cielo fra le sue stelle, lasciando al loro posto sulla terra una piantina di lavanda.
Nella mitologia greca la lavanda, detta anche spighetta di San Giovanni, era dedicata a Ecate, dea lunare assai misteriosa e protettrice delle maghe e degli indovini. Nella notte del solstizio estivo, le streghe che praticavano la magia bianca, quella buona, erano solite offrire un mazzetto di fiori di lavanda come buon auspicio. I superstiziosi invece, nella stessa notte, mettevano le spighette sulle soglie delle porte e delle finestre per allontanare le fattucchiere dalle cattive intenzioni e per proteggersi dalle loro maledizioni.
MENTA (Mentha piperita) Secondo la mitologia greca, la menta sarebbe nata dal sacrificio di una ninfa. Si chiamava Mintha, figlia del fiume infernale Cocito ed abitante del regno sotterraneo di Ade, di cui era l’innamorata ed amante. Quando Ade si innamorò però di Persefone, figlia di Demetra e Zeus, che rapì e portò con con sé negli inferi per farla sua legittima sposa, la ninfa Mintha abbandonata si infuriò moltissimo, minacciando in modo umiliante Perfesone di riconquistare il suo amante e di cacciarla dal Palazzo dell’Ade. Persefone colta dall’ira e dallo sdegno, smembrò la ninfa e la trasformò in una pianticella umile ed insignificante, tanto da passare inosservata. Ade mosso da compassione, le concesse di diventare una pianta profumata, denominata mìnthe o hedyosmos, “dal buon odore” (secondo una seconda versione fu per bontà di Giove spinto dal dolore di Cocito) in modo da spargere il suo inconfondibile aroma lungo le sponde del fiume paterno per alleviare la disperazione del genitore causata dalla morte della figlia prediletta, anche se Demetra per vendicare ulteriormente la figlia, condannò Mintha alla sterilità, impedendole di produrre frutti. Per questa origine drammaticamente romantica, la menta è considerata il simbolo dell’amore in Grecia.
NARCISO (Narcissus L.) La storia del narciso è legata alle vicende di un giovane le cui bellezza, pari a quella di un dio, fu la causa della sua stessa rovina, ma anche la nascita di questo profumato fiore. Secondo la mitologia greca Narciso, il bellissimo ed aggraziato figlio del fiume Cefiso e di una ninfa delle acque di nome Liriope, faceva innamorare tutte le persone che lo incontravano, inclusa la dolce Eco, ninfa dei boschi montani. Narciso però rifiutava le attenzioni e l’amore di tutte e tutti per la sua insensibilità e vanità, tanto che un giorno regalò una spada ad Aminio, un suo acceso spasimante, chiedendogli di suicidarsi come prova del suo amore e Aminio, tanto era grande il suo amore per Narciso, si trafisse il cuore con la spada sulla soglia della sua casa. Un giorno Narciso vagando tra i boschi fu visto dalla bella Eco che, non potendogli rivolgere la parola a causa di una vendetta di Era che la rassegnò a parlare ripetendo le parole altrui perchè la riteneva un’aiutante nei tradimenti di suo marito Zeus, si limitò ad ammirare la bellezza del giovane fino ad innamorarsene perdutamente e a seguirlo di nascosto. Tempo dopo Narciso, mentre rincorreva dei cervi, si perse nei boschi, e fu così che Eco si mostrò e presentò al giovane offrendogli teneramente il suo aiuto ma soprattutto offfrendogli il suo amore e tutta se stessa, un’offerta che Narciso ancora una volta rifiutò riluttante e dalla quale fuggì via inorridito, tanto che anche la poveretta scappò via avvilita. Eco, distrutta dal dolore, decise di nascondersi nel bosco per vivere in solitudine pensando unicamente alla sua passione per Narciso, un pensiero che ogni giorno le fece smettere sempre di più di pensare a se stessa fino a dimenticarsi di vivere, lasciando così deperire rapidamente il suo giovane corpo fino a consumarsi del tutto e a lasciare di lei soltanto la voce, destinata a ripetere le ultime parole a lei rivolte. Gli dei per punire Narciso della sua freddezza e insensibilità, con l’aiuto di Nemesi, dea della vendetta, fecero in modo di farlo innamorare della sua stessa immagine riflessa nell’acqua di uno stagno, immagine che ossessionatamente egli iniziò a cercare ogni giorno nell’acqua dimenticandosi anche di mangiare e di bere, fino a quando un giorno, preso da un’incontrollabile emozione e voglia di afferrare quell’immagine che veniva e svaniva, il suo unico amore, vi si tuffò nel tentativo di abbracciarla morendo affogato. Quando le ninfe Naiadi e le Driadi andarono a prendere il suo corpo per collocarlo sulla pira funebre, si narra che al suo posto fu trovato uno splendido e profumato fiore bianco che da lui prese il nome di Narciso.
Gli antichi narrano anche che a Narciso non fu di lezione questo suo tragico finale, dato che mentre attraversava lo Stige, il fiume dei morti per entrare nell’Oltretomba, il giovane continuava con ossessione a cercare il suo amato, riflesso nelle acque del nero fiume.
ROSMARINO (Rosmarinus officinalis) Sulla nascita rosmarino ci sono molte leggende. Secondo la mitologia greca e in base a quanto racconta Ovidio nelle sue “Metamorfosi”, Apollo, il dio del Sole, s’innamorò perdutamente della mortale principessa Leucotoe, figlia del re Laocoonte di Babilonia, per la vendetta di Venere che lo scoprì insieme a Marte. Leucotoe veniva tenuta segregata e sotto controllo dal padre all’interno del suo palazzo. Apollo, bruciante di passione, per riuscire a rimanere solo con lei si trasformò nella madre della fanciulla, riuscendo ad entrare così nella sua stanza dove la sedusse e la fece sua. Il padre, venuto a conoscenza del disonore grazie a Clizia, una ninfa innamorata di Apollo e da lui rifiutata, si infuriò e, non potendo vendicarsi su Apollo che era sempre il dio del Sole, punì con la morte atroce la debolezza della figlia, seppellendola viva. I raggi del sole irradiati sulla sua tomba dal triste Apollo, trasformarono il corpo dell’infelice giovane in una splendida e profumata pianta dalle foglioline sottili e dai fiori di color azzurro-violaceo, il rosmarino, che si ergeva verso il cielo con animo eterno e di libertà, ma legata ugualmente alla terra da possenti radici. Probabilmente a seguito di questo mito, derivò l’usanza degli antichi greci e romani di coltivare piante di rosmarino sulle tombe dei propri cari.
Una seconda leggenda ha invece origini cristiane e spiega l’orgine del colore azzurro dei suoi fiori. Un arbusto di rosmarino che aveva sempre avuto i fiori bianchi, offrì riparo alla Vergine Maria durante la fuga in Egitto, nascondendo lei e Gesù nel groviglio dei suoi rami. Una volta passato il pericolo, Maria appese alla pianta il proprio manto, facendo divenire azzurri i fiori bianchi.
Nell’antica Grecia, chi non poteva procurarsi l’incenso per fare sacrifici agli dei, bruciava il rosmarino che veniva chiamato “pianta dell’incenso”. Mentre per gli antichi romani il profumo del rosmarino allietava i defunti e li accompagnava nell’oltretomba.
SALVIA (Salvia officinalis) Sulla salvia esistono diverse leggende, soprattutto riferite alle sue proprietà terapeutiche. Le origini della pianta risalgono alle zone del Mediterraneo e dell’Asia Minore. Ai fiori della salvia viene attribuito il significato di salvezza, ispirato evidentemente dalle sue innumerevoli proprietà medicinali e terapeutiche, note già dagli antichi i quali la ritenevano in grado di curare ogni problema di salute, anche il più grave. Da qui il nome, originato dal termine latino salvus, che significa sano.
Per i Greci e i Romani la salvia è governata da Giove, che le attribuì capacità purificanti per il fegato e rigeneranti per il sangue. Per questo nell’antichità se ne servivano per curare i morsi dei serpenti e per rinforzare il corpo e la memoria.
Una leggenda cristiana narra delle virtù attribuite a questa pianta: quando la Sacra Famiglia fuggì in Egitto, per evitare le ire di re Erode, soltanto la umile salvia accettò di nascondere Gesù Bambino dalla vista dei soldati e di farlo riposare su un morbido giaciglio durante le soste, fatto con i suoi fiori. Così la Madonna per ringraziare la salvia della sua generosità, la benedì facendogli dono delle sue note qualità terapeutiche.
TIGLIO (Tilia tomentosa) Il tiglio nasce dalla disperazione di una madre nell’antica Grecia. La ninfa Filira, figlia di Oceano, s’innamorò perdutamente del dio Crono. I due vennero sopresi insieme a letto dalla moglie di Crono, Rea, che fece balzare dal letto e fuggire via Crono sotto le menite spoglie di uno stallone al galoppo. L’amplesso lasciò in dono a Filira un figlio che lei aspettò con trepidazione come consacrazione di quell’unione. Quando il piccolo venne alla luce, ella quasi impazzì perchè il neonato era un centauro, ovvero una creatura per metà cavallo e per metà umano, che divenne poi il famoso Chirone, insegnante di Achille. Per la vergogna la ninfa chiese al padre di essere trasformata in un albero, il tiglio.
ULIVO (Olea europaea) L’ulivo da millenni è l’albero che ha caratterizzato gli aspetti salienti del paesaggio coltivato di tutta l’area del Mediterraneo e fu una creazione della dea Atena. Atena, dea guerriera protrettrice di Atene e membro di rilievo nel pantheon dell’Olimpo, nonché figlia prediletta di Zeus dalla cui testa nacque già tutta armata, creò l’ulivo in occasione della contesa tra lei e Poseidone sulla sovranità dell’Attica, che sarebbe spettata a chi avrebbe fatto il dono più utile e bello a questa regione montuosa della Grecia. Una disputa decisa dallo stesso Zeus che non sapeva decidersi a chi affidare la regione. Poseidone toccando con il suo tridente la terra fece saltare fuori un nuovo animale, il cavallo, che da quel momento avrebbe popolato tutta la terra. Atena invece percorse il suolo con il suo giavellotto e dal terreno fece sorgere una pianta d’ulivo con i frutti, il dono che poi fu scelto dal popolo ritenendolo simbolo di pace e prudenza dato che Atena era la personificazione della saggezza e della sapienza in tutti i campi delle scienze conosciute. Da quel giorno la capitale dell’Attica fu chiamata Atene, in onore della dea vincitrice.
Alberi, piante, fiori: un mondo tra sacro e profano in Ovidio
L’incuria dell’uomo – interessato per lo più al solo benessere economico e al proprio profitto, senza alcuna lungimiranza – verso quello che è – forse – il bene più prezioso che abbiamo (la Natura), non ha conseguenze solo a livello pratico, ma anche – per dir così – a livello culturale.
La Natura, i boschi, gli alberi, le piante, i fiori, hanno da sempre fatto parte dell’immaginario, e, di conseguenza, hanno ‘popolato’ miti e leggende: le Metamorfosi e i Fasti di Ovidio sono una fonte preziosa per queste ‘storie, legate in un modo o nell’altro alla natura.
Al di sopra di questi miti (dei loro significati ed analisi) abbiamo visto essere la persona del Poeta: l’ “essenza durevole” dei miti considerati è il poeta stesso, in quanto è colui che dà vita durevole ai miti e così rende immortale anche se stesso.