di Melina Gualtieri

La violenza sugli animali è un fenomeno ancora molto diffuso, non solo in Italia e non solo nel privato. Oltre ai maltrattamenti ed all’abbandono, specie nel periodo estivo, degli animali domestici, è di proporzioni ancora drammatiche il fenomeno degli animali utilizzati come cavie per esperimenti scientifici.

Sappiamo bene che la crudeltà è radicata nella natura umana, ma almeno potremmo fare lo sforzo di evitare quella completamente inutile e smettere di perpetrarla e giustificarla con il richiamo alla tradizione, come se un comportamento umano solo perché è nato da molto tempo debba essere mantenuto per sempre. Quasi che la storia fosse un monolite che non si modifica né aggiorna mai. Alle Isole Faroe è tradizione massacrare i delfini, in Spagna la corrida è un’usanza secolare; in Cina le pinne di squalo sono considerate un piatto succulento; sempre in Cina è tradizione mangiare i cani oppure far soffrire gli orsi, sempre in Cina è solo da un’anno è bandido il commercio di zanne di elefanti. In Canada uccidere a bastonate (perché così non si rovina la pelle) i cuccioli di foca. La difesa degli animali è anche un’istanza politica. Il partito laburista inglese ha promosso una rivoluzione di sinistra ironicamente denominata “falce e macello” per contrastare la caccia alla volpe.
Le griffe di moda dicono addio alle pellicce, si indossano abiti eco. I marchi cosmetici abbandonano i test sulle cavie, il benessere degli animali è sempre più una priorità.
Sulla stupidità della caccia alle balene non vale nemmeno la pena di soffermarsi. Così come non vale la pena di spendere parole sulle motivazioni scientifiche che sorreggerebbero quella giapponese. Le crudeltà sugli animali nel mondo trovino apparente giustificazione nella tradizione che le sorreggerebbe, come dire che il richiamo alla tradizione potesse giustificare qualsiasi nefandezza.

È già un oggetto del desiderio la borsa Falabella by Stella McCartney sfoggiata pochi giorni fa dalla popstar Miley Cyrus in occasione di un tributo a Elton John: un rettangolo nero in ecopelle con la scritta in rosso “All is love”, disegnato dall’artista Urs Fisher e dal costo ragguardevole di oltre 1.000 sterline. E a fine gennaio l’attrice Rooney Mara ha lanciato una sua collezione eco, chiamata Hiraeth, che si distingue dalle altre perché non utilizza nemmeno derivati animali come lana, seta e cashmere. Sono segnali che tra le star, ma non solo, si diffonde sempre più una nuova parola d’ordine: “cruelty free”. Ovvero, capi e accessori prodotti senza materie prime di origine animale o test su cavie da laboratorio. E i numeri confermano la tendenza: secondo un report della società di ricerca Market Research Future, il mercato registrerà una crescita notevole per gli anni a venire. Lo stesso anno in cui una campagna lanciata dall’Unione Europea vorrebbe vedere vietata in tutto il mondo la sperimentazione dei cosmetici sugli animali.
Una rivoluzione beauty. Questa sensibilità diventa sempre più importante nel mondo del beauty. Il brand globale L’Oréal Paris a breve dichiarerà ufficialmente, in tutte le sue comunicazioni, il proprio impegno contro i test su animali. E a riprova che i fatti seguono ( o in questo caso precedono) alle dichiarazioni, durante una visita che ci viene proposta negli immacolati e futuristici laboratori Episkin di Lione, ci vengono mostrati i campioni di pelle cresciuti in laboratorio e usati al posto delle classiche “cavie”. Gli esperti ci spiegano che il laboratorio ricrea campioni che rispecchiano le varietà di pelli (per esempio variano la forma e il numero dei melanosomi). Nonostante l’uso obbligatorio di guanti sterili, quando ci viene concesso di toccarli, siamo stupiti dalla elasticità e resistenza dei campioni di pelle.  «Il Gruppo L’Oréal non effettua esperimenti del prodotto finito sugli animali dal 1989» spiega Pascale Mora, direttore della comunicazione della ricerca e innovazione di L’Oréal. «Non solo: nei laboratori Episkin di Lione facciamo i test su pelle ricostruita da cellule di pelle umana dei residui di interventi di chirurgia plastica. I kit di pelle ricostruita sono poi venduti ad altre aziende per evitare il ricorso a procedure nocive per gli animali». Anche l’alta moda si sta convertendo: sulla scia dell’apripista Stella McCartney, Gucci, Giorgio Armani e Tom Ford hanno annunciato di aver eliminato la pelliccia nelle loro collezioni.
Mentre in Svizzera dal 1° marzo sarà vietato per legge gettare le aragoste in pentola senza averle prima stordite elettricamente. L’Italia non è da meno: i vari schieramenti hanno proposto, alternativamente, di istituire un Garante dei diritti per gli animali, di inasprire le pene per chi li maltratta e di stanziare ticket da 30 euro per chi adotta un cane del canile. «La politica si fonda sul consenso, quindi è logico che segua le istanze dell’opinione pubblica». «La gente è attenta a questi temi perché oggi è più sentita l’esigenza di rispettare l’ambiente, in senso lato, e quindi anche il benessere degli animali».