di Franco Petti
Abbracciare un albero per sentirsi meglio è il consiglio base della silvoterapia. La silvoterapia indica sia di abbracciare gli alberi in modo naturale per avvicinarci al loro tronco, sia di sederci al loro fianco, appoggiando la schiena proprio sul tronco e posizionando la mano destra nella zona del plesso solare, mentre la mano sinistra andrà dietro la schiena, a contatto tra il nostro corpo e l’albero, in corrispondenza della zona dei reni. Nell’era del attuale la natura, non più considerata un bene da depredare o dilapidare, ritorna ad essere un grande valore importante della vita, valore che non è più semplicemente appannaggio di qualche nostalgico o di qualche integralista verde, ma che taglia trasversalmente la società. Ammesso tutto ciò, è chiaro che la nuova sensibilità ci porta anche a riscoprire pratiche antiche in grado di donarci nuovi tipi di benessere che avevamo scordato proprio dal rapporto diretto con la natura, magari proprio abbracciando le piante.
Ricordo lo sconcerto e lo straniamento quando, durante la visione di un film australiano, su un cartello ai Royal Botanic Gardens di Sydney lessi, al contrario di quanto ero abituato a vedere quì in Europa: Please walk on the grass. To hug the trees (Per favore, cammina sull’erba…Abbraccia gli alberi). Sempre attraverso questo film naturalistico, ricordo anche la sensazione piacevole dal seguire quella pratica tanto strana quanto naturale che proveniva dall’antica saggezza locale. Ma iniziamo dal principio: milioni di anni addietro, come ricordano vari studiosi, siamo scesi dagli alberi ed abbiamo iniziato un più o meno lento stillicidio tagliandoli e bruciandoli, talora a ragion veduta, tal altra semplicemente seguendo gretti interessi economico speculativi.
Da diecimila anni abbiamo anche imparato a piantare e coltivare gli alberi spesso più per intenti ego-riferiti che per vero amore e rispetto nei loro confronti e del loro ruolo fondamentale, anche per noi. È un’antichissima pratica che accomuna culture molto diverse e distanti tra loro: dagli indiani d’America ai tibetani fino agli aborigenos australiani, sino alla sua ripresa, recente, anche in Occidente.
Abbracciare gli alberi è una pratica che aiuta a ritrovare un bilanciamento ed un’armonia interiore spesso messi a dura prova dalla realtà quotidiana ed a riequilibra il rapporto tra gli organismi non mettendo più l’uomo in una posizione di arrogante superiorità rispetto agli indifesi vegetali. Come nel passato, oggi sempre più persone sono convinte che abbracciando le piante, rientriamo in un circolo comunicativo con il mondo vegetale dal quale entrambi, noi ed essi, possiamo trarne giovamento.
Il senso del sacro, come spesso è ricordato dalle tradizioni antiche, è nato proprio al cospetto delle piante, davanti alla loro massiccia possenza e delicata fragilità, contemplandone la capacità di sfidare le avversità del tempo e della vita, di spingersi oltre i limiti angusti della percezione primitiva, con le loro radici che si spingono sino alle viscere, più recondite della terra, e le frondose chiome che si stagliano verso il cielo, che si slanciano verso l’universo. Una meraviglia che si ritrova nel miracoloso rifiorire ad ogni primavera, nel gustare i deliziosi frutti, nell’incantevole spettacolo dei cromatismi autunnali e nel vitale torpore che li addormenta durante i gelidi mesi invernali.
Uno studio che ho personalmente compiuto su chi abbracci agli alberi, dimostra che la loro esperienza viene sempre descritta come un “abbracciarsi recirproco”: non è solo l’uomo che abbraccia l’albero, è anche l’albero ad abbracciare l’uomo ma, per accorgersene, bisogna essere sensibili, bisogna rendersi conto che l’albero non è semplicemente un organismo appartenente ad una certa specie botanica, ma è un essere vivente che ci lancia dei richiami insistentemente. Ovviamente qui non c’è nulla di ilozoistico in tutto ciò. Si tratta solo di capire e ricordare che, con l’antichissima pratica di abbracciare gli alberi possiamo anche ritrovare noi stessi attraverso il contatto del nostro corpo con il loro.
Tracce di una simile pratica ci sono anche nella nostra cultura, basti pensare ad Herman Hesse che, nel suo celebre libro Il canto degli alberi, sottolineava: “Tra le loro fronde stormisce il mondo, le loro fronde stormisce il mondo, le loro radici affondano nell’infinito; tuttavia non si perdono in esso, ma perseguono con tutta la loro forza vitale l’unico scopo: realizzare la legge che insita in loro, portare alla perfezione, la propria forma, rappresentare se stessi. Niente è più sacro e più esemplare di un albero bello e forte”. O, ancora, il grande scrittore portoghese José Saramago che raccontava gli ultimi istanti di vita di suo nonno, ricordando che scese nell’orto per abbracciare i suoi alberi. Un metodo che, anche lo scrittore Romano Battaglia, confessa di praticare sin da bambino e che ricorda nel romanzo Incanto.
“Vivevo un tempo in Argentina, dove c’è questa meravigliosa zona di El Tigre. Da ragazzo con gli amici, anche se allora era una zona un po’ paludosa mi piaceva perdermi in questo labirinto di rami e di foglie, finché a un certo punto sentivo il bisogno di abbracciare un albero, qualche volta abbracciavo lei. Nessuno me l’ha insegnato, è sempre stato un desiderio istintivo. Il contatto con il legno mi donava una pace, una serenità così intense che da allora non ho più smesso. Chi soffre di depressione non ha più fiducia nella vita, vede intorno a sé solo una palude stagnante. Gli alberi possono riconciliarci con noi stessi e con il mondo, ma bisogna lasciarsi andare e crederci fino in fondo: solo così si avvertirà questa forza magnetica che avvolge il nostro corpo. Una forza che gli indiani d’America conoscono da sempre e che accompagna la loro vita fin dall’inizio.”
E proprio gli indiani sono abituati, da sempre, a deporre il bambino nato da qualche mese ai piedi di un albero per un’intera giornata, una pratica che assomiglia molto ai giochi dei bambini rievocati anche da Battaglia come “fare la culla” ossia sdraiarsi su un piccolo avvallamento di terreno erboso cosparso di aghi di pino. “Anche molti animali fanno così: restano accucciati nell’erba per molte ore.”
Per un adulto può essere difficile immaginare di potersi lasciare trasportare e concedere simili azioni. Invece è necessario saper ritornare all’infanzia, come quando i miei avevano la campagna in Calabria: è come aprire una fontana che era chiusa e che ritorna a zampillare. Solo così è possibile riuscire a provare di nuovo le emozioni pulite e pure che abbiamo scordato o perduto. Gli alberi, possono anche insegnarci lo spirito di solidarietà che sta riemergendo nell’era del Wellthiness. Perchè, nelle foreste, quando i rami litigano per il vento, le radici si tengono per mano. “Gli alberi sono molto legati l’uno all’altro come tanti predicatori silenziosi che stanno lì immobili, apparentemente inerti. In realtà lottano contro il vento, contro la pioggia, ma restano sempre lì ad aspettarci, basta crederci e sentirli vicini. Gli indiani lo sapevano, perchè vivono in simbiosi con la natura. Noi invece gli alberi neanche li guardiamo più”.
Da simili osservazioni stanno sorgendo molte iniziative anche in Italia, come il progetto promosso dalla Regione Toscana che invita ed insegna alle neomamme ad abbracciare le piante per scacciare le loro ansie e paure stringendo a sé gli alberi e riuscendo così a superare lo stress. Volete sperimentare la silvoterapia? Non aspettate novembre Gioranta dell’Albero, fato anche ora. Abbracciate un albero o fate una passeggiata nei boschi Legambiiente invita tutti ad abbracciare un albero, a farsi fotografare e a postare una foto sui social. Partecipa all’iniziativa #abbraccialo con le vostre foto dedicate agli alberi, all’amore per la natura e alla silvoterapia.