di Giuseppe De Pietro

Contribuisci al salvataggio di un animale selvatico, come volpi, ghiri, lepri e caprioli che verranno curati e poi rimessi in libertà, grazie anche alle donazioni e ai contributi in denaro. Il progetto vede l’iniziativa di A.N.P.A.N.A. (Associazione Nazionale Protezione Animali, Natura e Ambiente).

Dobbiamo salvare gli animali e natura, e non solo le “specie simpatiche”. Per proteggere animali e biodiversità si spendono miliardi di euro, ma alla fine vengono salvate soprattutto le “specie bandiera” considerate più gradite e simpatiche. Rischiano invece gli animali considerati brutti e cattivi, come gli squali e i pipistrelli.

Un problema sempre più sentito, per il quale ogni anno nel mondo si spendono tanti miliardi di dollari. Ma davvero si stanno proteggendo le specie più a rischio, oppure l’essere umano si sta facendo condizionare da simpatia e antropocentrismo, finendo per scegliere di tutelare solo chi gli somiglia di più? Il rischio sembra esserci, visto che secondo molti studi gli interventi si concentrano soprattutto sulla cosiddette specie “bandiera”, quelle che gli studiosi definiscono “più carismatiche”, mentre altre meno “simpatiche”, come insetti, piante e microrganismi, oppure considerate a torto pericolose, come gli squali, rischiano seriamente di scomparire senza possibilità di essere reintrodotte.

Proprio dalla reintroduzione delle specie è fatta “quasi esclusivamente su mammiferi e uccelli, che in realtà sono meno poche le specie animali; c’è quindi uno sbilanciamento degli investimenti verso le specie che piacciono di più all’uomo”. La simpatia umana è peraltro un “concetto complesso”, che è condizionato dalla bellezza di molti esemplari, quindi “dalle penne degli uccelli, il sorriso del delfino”, ma anche dal luogo dove si trovano le specie e dalla loro organizzazione collettiva, infatti “se vivono vicino a noi e hanno una struttura sociale complessa li sentiamo più vicini”.

Gli animali più amati sono quelli “di grandi dimensioni, a sangue caldo, spesso predatori e dotati di occhi che guardano in avanti, quindi dalla morfologia più vicina alla nostra; spesso sono animali che si vedono anche negli zoo”. Questo è un problema, “una grande quantità delle specie a rischio si trova nelle aree tropicali ed è costituita soprattutto da insetti, microrganismi e funghi”.

Si spende enormemente di più per specie come tigre, orso o lupo che “sugli anfibi o alcuni gruppi di invertebrati”, la cui tutela sarebbe invece essenziale: in Italia, ad esempio, ci sono specie come l’euprotto (un anfibio che vive solo in Sardegna) o la lucertola di Raffonei (in Sicilia), di cui esistono solo “poche centinaia di esemplari” e se si estinguono sarà per sempre, come molti altri anfibi e piante. Tra queste ultime, di cui “esistono solo 24 individui in natura, ma la cui situazione è poco nota al pubblico”. Una categoria che dovrebbe avere molta più attenzione sono poi “gli insetti, enormemente superiori dal punto di vista numerico rispetto a tutti i vertebrati”.

Non sempre però la scarsa disponibilità a proteggere dipende dalla poca conoscenza: l’eccezione più clamorosa è sicuramente lo squalo, reso celebre da film e letteratura e spesso “vittima” di allarmismi eccessivi anche sulle nostre spiagge, che nonostante la sua fama non ha ancora suscitato l’”umana carità”. Questo accade nonostante sia, tra gli animali marini, quello “più a rischio di collasso”, a causa delle sue caratteristiche biologiche “che si traducono in potenziali di rinnovo delle popolazioni molto bassi, tali da far sì che oggi gli squali siano minacciati in tutto il pianeta, Mediterraneo incluso”; il nostro mare ne ospita un gran numero di specie, tra cui anche “lo squalo bianco e lo squalo elefante, il secondo pesce più grande del mondo”, ma molte di esse “sono ora rare se non addirittura quasi del tutto scomparse”.

Oltre l’etica ci sono altre buone ragioni per difendere gli squali, sostiene l’esperto, visto che da loro “dipende il mare così come lo conosciamo, come lo desideriamo ogni estate”, risorse di pesca comprese: per farlo, però, servono “conoscenza scientifica e consapevolezza dell’opinione pubblica”, bisogna quindi oltrepassare “la barriera che troppo spesso divide scienziati e cittadini”, usando in primo luogo campagne di comunicazione mirate.

Con una situazione in costante mutamento e campagne, sempre più spesso “si sono concentrate su animali prima ignorati come i pipistrelli, molto rivalutati nonostante un aspetto che non li rende tra i più amati”. Un esempio di progetto che ha sensibilizzato su una specie non carismatica è il bellissimo cartone animato Sticky (visibile in fondo all’articolo), dedicato ad un insetto stecco del Pacifico che vive sull’isola di Lord Howe in Australia, in cui si racconta, con “grande competenza scientifica e poesia, come si sia salvata dall’estinzione una specie sicuramente poco conosciuta, creando un grande supporto tra il pubblico”. Il Dryococelus australis (detto anche aragosta degli alberi), lungo 15 centimetri, è infatti ancora oggi una specie ad alto rischio d’estinzione, ma il cartoon “spezza cuore” ha migliorato molto la situazione.

È quindi fondamentale comunicare nel modo giusto, conclude lo studioso, e chi lavora nel settore deve trovare tecniche “per sensibilizzare il pubblico sulle emergenze di conservazione; con un po’ più di lavoro e impegno si possono raccontare in modo efficace quelle piccole storie di biodiversità che sono fondamentali per proteggere il nostro pianeta, con messaggi che spieghino in modo efficace, semplificandoli, gli aspetti più complessi degli ecosistemi”.

http://www.anpana.it/cms/

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