di Marcela De Pietro 

Incastonato tra le rocce dell’immensa catena montuosa Himalayana, tra Cina e India, la natura lascia spazio al piccolo ma affascinate Stato monarchico del Bhutan.

Nonostante sia uno dei paesi più poveri dell’Asia, qui si registra il tasso di felicità più elevato di tutto il continente e l’ottavo nella classifica mondiale. Infatti, oltre agli incredibili paesaggi, i monasteri nascosti nelle falesie, i templi sperduti in valli senza nome e i caratteristici “ dzong”, il Paese del drago tonante misura il valore politico ed il potere economico in base alla felicità ed al benessere dei suoi cittadini.

Il Buthan piccolo stato montuoso dell’Asia, nella classifica mondiale che calcola il Prodotto Interno Lordo (PIL) dei paesi, è considerato come uno dei più poveri al mondo, ma già da tempo ha deciso di non misurare la propria ricchezza con valori economici, ma con un nuovo parametro forse più importante, la Felicità Interna Lorda (FIL) del proprio popolo, valorizzando molti di quei fattori che influenzano la felicità delle persone, tra cui l’istruzione, una comunità sana, la vita familiare e la salute mentale e fisica.

Per Prodotto Interno Lordo  si intende il valore di tutti i prodotti finiti e servizi prodotti in uno stato in un dato anno, e nella classifica mondiale dei paesi, il Bhutan si posiziona solo al 168° posto con un PIL pro capite annuo di 2088 dollari americani.
Eppure secondo un sondaggio il Bhutan è anche la nazione più felice del continente asiatico e addirittura l’ottava del mondo, questo perchè adottando il FIL adotta programmi che puntano a migliorare l’istruzione, la protezione dell’ecosistema e a permettere lo sviluppo delle comunità locali, confermando che  il benessere è più importante dei consumi.

I soldi non fanno la felicità, basti pensare a nazioni economicamente e tecnologicamente molto più avanzate come la Cina dove i cittadini non sono più felici di 25 anni fa nonostante nel frattempo si sia verificata una crescita esponenziale del PIL. Essendo l’uomo un animale sociale, la comunità in cui vive condiziona il suo benessere materiale e mentale, e come ricorda stesso l’ONU «la ricerca della felicità è un scopo fondamentale dell’umanità».

«Come buddhista, sono convinto che il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità. Per felicità però non intendo solamente il piacere effimero che deriva esclusivamente dai piaceri materiali. Penso ad una felicità duratura che si raggiunge da una completa trasformazione della mente e che può essere ottenuta coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. Allo stesso tempo, a livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità».

È quanto è emerso da una ricerca del 2007 realizzata dagli psicologi Nathan DeWall e Roy Baumesiter dell’Università del Kentucky. Lo studio è stato condotto su due diversi gruppi di studenti dell’università. 

A un gruppo è stato chiesto di immaginare una dolorosa visita dal dentista, all’altro di contemplare la propria morte. Ad entrambi i gruppi è stato poi chiesto di completare le parole chiave, come “jo_”. Il secondo gruppo, quello che aveva pensato alla morte, era molto più propenso a costruire parole positive, come “joy”, gioia. 

Questo ha portato i ricercatori a concludere che “la morte è un fatto psicologicamente minaccioso, ma quando le persone la contemplano, apparentemente il sistema automaticamente inizia a cercare pensieri felici”. 

Gli abitanti del Bhutan hanno fatto propria questa filosofia di vita. Sanno che contemplare l’idea della propria fine, anziché attivare paura e pensieri tristi, porta più facilmente a sviluppare un atteggiamento positivo verso la vita. In effetti è quello che spiega Linda Leaming nel suo libro A Field Guide to Happiness: What I Learned in Bhutan About Living, Loving and Waking Up: “Ho capito che pensare alla morte non mi deprime. Mi fa cogliere l’attimo e vedere cose che normalmente non vedrei. (…) Il mio miglior consiglio: pensate all’impensabile, alla cosa che vi spaventa pensare più volte al giorno”.

Secondo lo studio quindi il Bhutan è il Paese più felice al mondo perché i suoi abitanti non temono la morte, ma utilizzano l’idea della fine come stimolo per rendere migliore il presente.

È una filosofia che deriva dalla cultura buddista che il Bhutan ha saputo preservare fino ad oggi, rimanendo isolato dal mondo e dalla globalizzazione. 

Internet, la televisione e l’abbigliamento occidentale erano banditi dal Paese fino a venti anni fa. Negli ultimi anni, queste e molte altre tecnologie e idee moderne sono entrate a far parte della vita quotidiana dei bhutanesi. Ma il Bhutan permette l’ingresso nel Paese solo a un certo numero di stranieri all’anno e richiede ai viaggiatori il pagamento di duecento dollari al giorno. Un chiaro deterrente per molti visitatori, una barriera di protezione per il Bhutan. Ma in questo modo l’ultimo regno buddista sembra aver trovato un equilibrio tra la globalizzazione dell’era moderna e il rispetto della sua cultura e tradizioni millenarie.

anaQuindi se per i bhutanesi la morte è una parte fondamentale della vita è anche dovuto alla cultura buddista che attribuisce un grande valore alla reincarnazione. Morire è in fondo l’inizio di una nuova vita. Come dicono i buddisti, “non dovresti aver paura di morire più di quanto non temi di buttar via i tuoi vecchi vestiti”. La fine dell’esistenza quindi è qualcosa su cui meditare quotidianamente per vivere meglio, non un pensiero negativo da scacciare come per noi occidentali. 

Secondo la cultura bhutanese, una persona dovrebbe pensare alla morte circa cinque volte al giorno. Bisogna sapere poi che in Bhutan la tradizione prevede 49 giorni di lutto dopo la morte. Questo rituale spiega quanto importanza diano i bhutanesi alla fine dell’esistenza. Le occasioni di morire, inoltre, in Bhutan sono molto alte e sempre dietro l’angolo, ciò spiega anche la loro abitudine a riflettere sul concetto di fine dell’esistenza. Un modo di pensare su cui si basa paradossalmente proprio la loro felicità.  

Il Bhutan inoltre è il Paese con il PIL più in crescita del mondo, perché qui il prodotto interno lordo si basa proprio sulla felicità. In Bhutan, già negli anni ’70, il re Jigme Singye Wangchuck ha introdotto la Felicità Interna Lorda (FIL), cioè un indice di progresso economico e morale che invece di concentrarsi esclusivamente su misure economiche quantitative, calcola il livello di felicità dell’intero Paese, tenendo conto di un insieme di fattori legati alla qualità della vita, come la tutela dell’ecosistema, la salute degli abitanti, l’istruzione, l’intensità dei rapporti sociali.

Il re Jigme Singye Wangchuck, infatti, in un’intervista al Financial Times nel 1972, spiegò che “la felicità interna lorda è più importante del prodotto interno lordo” e che la felicità di una nazione non si misura con il solo progresso economico, ma nella crescita di una società umana armonica, in grado di vivere in sintonia con se stessa e con la natura. 

Nel 1998 poi il governo del Bhutan ha istituito un centro di ricerca dedicato, il GNH Centre Bhutan (GNHCB), al fine di definire un indice della FIL, fissare indicatori che il governo possa seguire nelle sue linee di politica interna e condividere i risultati con il mondo esterno. Il Centro GNH ha quindi elaborato quelli che vengono comunemente definiti i “quattro pilastri” della Felicità Interna Lorda: il buon governo, lo sviluppo sostenibile, la conservazione e la promozione del patrimonio culturale e la tutela dell’ambiente. Quando, nel 2008, il Bhutan ha promulgato la nuova costituzione democratica, i valori della FIL sono entrati nell’articolo 9, che assicura l’inclusione e la continuità dei suoi principi: “lo Stato si sforza di promuovere le condizioni che permettono il raggiungimento della Felicità Interna Lorda”, definita come un “approccio di sviluppo multidimensionale, che cerca di raggiungere un equilibrio armonioso tra il benessere materiale e le esigenze spirituali, emotive e culturali della società”.

Questi principi alla base della cultura buddista, in effetti, avevano già ispirato il più antico codice di leggi del Bhutan, risalente al 1629, in cui si legge che “se il governo non può creare la felicità del suo popolo, allora non c’è alcun motivo per il governo di esistere”. 

Suntime Magazine promuove due itinerari in Bhutan, con viaggi di turismo responsabile che possano far conoscere nel profondo la cultura e l’identità del paese, salvaguardando quegli stessi valori che per il Bhutan sono indicatori di benessere.
Il Bhutan adotta per questo motivo anche un controllo dei flussi migratori nel proprio paese, e per accedere bisogna contattare il Tourism  Council of Bhutan e prenotare il proprio soggiorno attraverso un Tour Operator come Conscious Journeys, riconosciuto da tale organismo.
Gli itinerari proposti da Conscious Journeys sono: Bhutan, il regno del dragone tuonante, che propone il meglio del Bhutan, e un’altro che include la regione indiana del Sikkim e Bhutan.

Ogni viaggio in Bhutan comprende la visita a città importanti come Thimphu ovvero la capitale del Bhutan, Paro dove risiede il monastero Taktsang (Tana della Tigre) consacrato dal Guru Rinpoche che introdusse il Bhuddismo in Bhutan e la città di Punakha ex capitale del Bhutan e sede del Punakha Dzong (palazzo della grande felicità) maestoso edificio che ospita le reliquie sacre del Drukpa e sede del governo del Bhutan fino al 1955.

Se volete partire alla scoperta del Bhutan quando andare se non durante uno dei festival tipici del paese e che permettono ancora meglio di capire la filosofia di vita del paese?
I festival più importanti sono tre e commemorano tutti il leggendario Guru Rinpoche, considerato come il secondo Bhudda, infatti il festival di Thimphu (tra settembre e ottobre) e il festival di Paro (marzo) ne festeggiano la nascita, e il Nabji Lhakhang Drup (gennaio) festival del piccolo villaggio Nabji nel parco nazionale Jigme Singye Wangchuck, ne loda la capacità di riportare la pace tra i Re in guerra nell’VIII secolo.
Le date di questi festival generalmente sono anche i periodi migliori per visitare il paese dal punto di vista climatico che è influenzato dall’altitudine: è subtropicale in pianura, e diventa progressivamente più freddo man mano che si sale sui pendii dell’Himalaya. Inoltre, è influenzato dal monsone estivo, che porta piogge e nuvolosità diffusa per quasi sei mesi all’anno.