Di Giuseppe De Pietro
Il primo cerimoniale dell’anno per i Mamuthones e Issohadores si tiene il 17 gennaio per Sant’Antonio Abate. Evento che segna l’inizio del Carnevale e delle numerose uscite di queste maschere tradizionali in diverse manifestazioni in Sardegna e in giro per il mondo. Il significato del rito dei Mamuthones – la cui prima “uscita pubblica” avviene in occasione di questo evento religioso dedicato a Sant’Antonio – è (così come il nome dato alla maschera) molto misterioso. Secondo un’opinione diffusa, tali maschere trarrebbero la loro origine dall’età nuragica e in particolare dai riti propiziatori. Considerando l’importanza della figura del toro in Sardegna, è inoltre molto popolare anche l’interpretazione che vede nei Mamuthones una sorta di omaggio al bue, simbolo della potenza del maschio e animale utile e prezioso per le civiltà di tutti i tempi.
I Mamuthones sono i protagonisti di una tradizione millenaria, i Mamuthones sono delle maschere che accompagnate da Issohadores si esibiscono in un antico e suggestivo rituale praticato a Mamoiada. Una sfilata danzante di solitamente 12 Mamuthones che avanzano con dei salti ritmici e 8 Issohadores che si muovono disordinatamente.
Partiamo dal loro luogo d’origine. I Mamuthones sono – insieme ai più colorati Issohadores – le maschere tipiche di Mamoiada, paese situato nella parte più interna della Barbagia di Ollolai. Il paesino di Mamoiada è diventato famoso proprio per il suo rito carnevalesco ancestrale e le sue maschere che – insieme ai Boes e Merdules di Ottana – sono sicuramente le più famose dell’intero territorio isolano. Non solo l’origine esatta dei Mamuthones è sconosciuta, ma anche il loro nome ha un significato misterioso. Secondo alcuni, la parola Mamuthone deriverebbe da Melaneimones, nome dato dai sardi agli antichi fenici e che avrebbe il significato di “facce nere”. Secondo altre interpretazioni, la parola avrebbe origine dal termine Mommotti, l’“uomo nero” della tradizione sarda, utilizzato per spaventare i bambini ancora oggi. Ma esistono svariate interpretazioni a riguardo, una delle quali scorge nel nome della maschera dei riferimenti a Maimone, divinità che secondo alcuni studiosi corrisponderebbe al dio fenicio delle piogge
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Cosa rappresentino queste figure rimane un mistero. Sono diverse le teorie: l’origine della parola Mamuthone potrebbe derivare da “Melaneimones”, facce nere, attributo dato dai sardi ai fenici. Scindendo la parola in mam, muth e ones in greco il significato sarebbe “uomini che chiamano la pioggia”. Se derivasse dal termine “Mottu” che in oriente indicava il Dio della Morte, in Sardegna detto “Mommotti”, Mamuthones potrebbe esserne il superlativo. Issohadore in sardo ha letteralmente il significato di “colui che prende con la fune” e non è certo il collegamento con i Mamuthones. Qualsiasi fosse l’origine di questa rappresentazione doveva essere un significato molto sentito, tanto da conservarsi fino ai nostri giorni.
Cosa si nasconde dietro la maschera? Ogni saltello è seguito dal suono metallico dei pesanti campanacci, scossi con un colpo di spalla. Ogni atterraggio al suolo è ritmato, pesante, quasi animalesco. Così si muovono i Mamuthones, le maschere più famose del Carnevale sardo. Il loro costume è costituito da una maschera chiamata “visera” e da una veste di pelli chiamata “mastruca”. La visera è di legno nero e lucido e ha caratteri del viso molto marcati. La mastruca è fatta di pelle di pecora nera e la schiena del Mamuthone è ricoperta da “sa carriga” (una serie di campanacci di varie dimensioni). Ma cosa si nasconde dietro queste Maschere?
Ciò di cui vogliamo parlare non riguarda il “sotto le vesti”, quindi gli attori che si celano tra pelli e campanacci, ma ciò che i Mamuthones rappresentano veramente e il significato del rito che li vede protagonisti. I Mamuthones, infatti, si prestano a numerose interpretazioni, proprio per il loro aspetto particolare e il loro modo di muoversi in una sorta di danza che non ha niente a che vedere con su ballu tundu, il ballo sardo più conosciuto.
I Mamuthones, con il loro aspetto e le loro movenze, sembrano riportarci indietro nel tempo, in un mondo in cui il carnevale era un rituale e l’uomo era ancora molto ancorato alla terra e agli animali. In verità, secondo gli storici, mancano le fonti che testimonino la presenza dei Mamuthones in tempi lontani. Non ci sono infatti testimonianze scritte del rito, nemmeno del Wagner, etnologo tedesco considerato uno dei maggiori studiosi della lingua e cultura sarda. Secondo alcuni studi, le testimonianze orali attesterebbero le sfilate dei Mamuthones almeno al XIX secolo. Per via di queste “attestazioni scritte mancate”, tuttavia, la maschera più famosa della Sardegna sembrerebbe non riuscire ad avere un’origine e un’età precisa.
Più comunemente, il carnevale mamoiadino viene anche associato alla vittoria dei Sardi sui Saraceni, imprigionati e condotti in corteo. In questo caso, gli Issohadores rappresenterebbero i sardi vincitori (più colorati, allegri e agili) mentre i Mamuthones rappresenterebbero i perdenti imprigionati. Altro legame riscontrato dagli esperti di storia della Sardegna è quello con i culti dionisiaci, originari dell’antica Grecia e dal carattere tumultuoso. Le cerimonie dedicate a Dioniso, infatti, vedevano i seguaci danzare coperti da pelli di animali, al ritmo del ditirambo (un canto corale cupo e potente che accompagnava i “manifestanti” in stato di ebbrezza).
Maschere simili ai Mamuthones si trovano in diverse parti d’Europa. Un esempio di costume che assomiglia molto a quello della maschera mamoiadina è quello indossato da alcuni Silvesterkläuse, maschere tipiche del Canton Appenzello Esterno (Svizzera nord-orientale). Altro costume animalesco che ricorda (per via delle pelli indossate) il Mamuthones è quello del Kuker, figura della tradizione bulgara correlata agli antichi riti dionisiaci, ai quali spesso si fa risalire anche l’origine delle maschere di Mamoiada.
I Mamuthones sono tra le maschere più particolari del panorama folklorico italiano ed europeo. La maschera antropomorfa, nera come la pece, con i tratti marcati, che copre il viso degli interpreti del rito, affascina e intimorisce allo stesso tempo. La tradizione non è una scienza esatta ma è un complesso di memorie trasmesse di generazione in generazione. Come spesso accade nelle cose che si tramandano, la “prima voce” può perdersi e allora non si riesce più a rintracciare le origini. Anche i Mamuthones non fanno eccezione e, come simboli della tradizione, non hanno bisogno di essere costretti in nessuna interpretazione particolare per mantenere il loro fascino, che finisce per accentuarsi, al contrario, proprio grazie al mistero che portano sulle loro pelli e maschere di legno.
I Mamuthones hanno il viso coperto da una maschera in legno nera (solitamente di ontano), il capo è coperto da una berritta tenuta con un fazzoletto, indossano pantaloni in fustagno e un ampio gilet in pelle di pecora sulla parte superiore. Sulle spalle portano “sa carriga”, un carico di circa 30 Kg. di campane di diverse dimensioni appese a 6 o 7 cinture di cuoio. Gli Issohadores hanno un corredo di abiti più preziosi: camicia rossa e decori floreali, in passato portavano la maschera bianca, oggi sono a viso scoperto e indossano una berritta nera tenuta da un fazzoletto ripiegato. Tra le mani tengono la soha, la fune realizzata con in giunco usata durante l’esibizione per catturare le persone del pubblico.
Se non avrete la fortuna di vederli dal vivo, nel Museo delle Maschere di Mamoiada sono esposti anche i modelli di Mamuthones e Issohadores.Una miriade di sorgenti e torrenti alimentano rigogliosi boschi, pascoli e vigneti, da cui arrivano ottimi formaggi e vini che rendono ancora più celebre il paese dei Mamuthones e degli Issohadores. Mamoiada è un accogliente centro di duemila e 500 abitanti nel cuore della Barbagia di Ollolai, al confine tra Gennargentu e Supramonte. Nei rilievi si sviluppano i ‘sentieri dei pastori’, strade della transumanza divenute itinerari di trekking e biking. Nelle escursioni incontrerai sos pinnettos, antiche costruzioni in pietra e legno, dove i pastori producono fiore sardo, ricotta, sa frughe e casu martzu, squisiti spalmati sul carasau, la cui preparazione è un rito di famiglia. Intensi profumi di vigne inebriano le dolci colline granitiche attorno al paese. Le cantine locali ne ottengono rinomati cannonau e granazza. La cucina è di tradizione agropastorale. Occasione per scoprirla è Tapas, tappa novembrina di Autunno in Barbagia: assaporerai prosciutti, maccarrones de busa, pane frattau, porcetto arrosto, pecora bollita, fave con lardo e su sambeneddu. Legata a ricorrenze è l’arte dolciaria: tipici sono orulettas (chiacchiere) e s’aranzada.
Il suggestivo carnevale mamoiadino è una delle più antiche celebrazioni popolari dell’Isola, attrazione per visitatori di tutto il mondo. Protagonisti, i Mamuthones che portano una maschera nera con tratti marcati, intagliata in legni pregiati, e indossano pelli ovine su cui caricano trenta chili di campanacci (sa carriga). Durante le sfilate, incedono con passo cadenzato, generando suoni frastornanti. La danza ancestrale è ritmata dagli Issohadores in elegante corpetto rosso e maschera bianca. Il nome viene da soha, fune con cui prendono a lazo gli spettatori. La prima ‘uscita’ è il 16 gennaio per i fuochi di sant’Antonio abate e segna l’inizio del carnevale: attorno ai falò accesi nei rioni storici si svolgono i riti propiziatori. Le viseras, opere dei ‘maestri del legno’, sono esposte nel museo delle maschere mediterranee, dove scoprirai tradizioni legate ai travestimenti, tipici di comunità agropastorali e affini a varie antiche civiltà del Mediterraneo. Ammirerai maschere di altri paesi del centro Sardegna e un Mamuthone di inizio XIX secolo. ‘Palco’ degli eventi carnevaleschi è il centro storico di un abitato sviluppatosi a quota 650 metri, caratterizzato da strette e intricate viuzze, su cui si affacciano case di granito. Per approfondire la conoscenza su usi, costumi e attività produttive del paese, potrai visitare il museo della cultura e del lavoro. Passeggiando tra i vicoli incontrerai Nostra Signora di Loreto, chiesa forse medioevale, ricostruita a fine XVII secolo con una cupola ricca di affreschi. È detta Loreto de bidda per distinguerla dalla chiesetta di Loret’Attesu, dove si svolge la festa della Madonna della neve. Al culto bizantino per i santi Cosma e Damiano è dedicato un suggestivo santuario campestre, circondato da un villaggio di 50 casette per pellegrini (cumbessias)
Una passeggiata nelle campagne ti rivelerà anche una straordinaria molteplicità e varietà di monumenti preistorici. Al Neolitico risalgono dolmen, pedras fittas (menhir) e circa 40 domus de Janas, qui dette concheddas. Spicca sa Conchedda Istevene, a tre chilometri dal paese, complesso, databile al 3200-2800 a.C., di sei tombe scavate su un contrafforte roccioso, alcune articolate in corridoio (o atrio), camere principali e cellette, altre più simili a nicchie. Una conserva elementi simbolici (protome taurina, incisioni e coppelle) rari nelle domus del Nuorese. In periferia del paese troverai una testimonianza unica nell’Isola: sa Perda Pintà (la pietra dipinta), nota anche stele di Boeli, enorme lastra granitica alta oltre due metri e mezzo, istoriata con cerchi concentrici, bastoni uncinati e coppelle, simile a sculture preistoriche di area celtica. I simboli sono legati a culto della fertilità e ciclo morte-rinascita. I 32 nuraghi mamoiadini, tra cui spicca l’Arràilo, punteggiano le aree più fertili, attorniati da tracce di villaggi e tombe di Giganti. In epoca romana Mamoiada era forse Manubiata (sorvegliata), stazione lungo una strada militare. A confermarlo due rioni storici: su ‘Astru (castrum) e su ‘Antaru vetzu (vecchia fonte).
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