di Mohamed Zayed Jasim
Erano gli anni in cui l’Afghanistan era una regione che racchiudeva uno dei trekking più belli del mondo. All’epoca possedevo una bella Ducati DS all’attivo quasi 176.000Km. In tutti questi anni ho viaggiato per il mondo sono stato un punto di incontro in cui numerose civiltà avevano interagito e spesso si erano confrontate tra loro. È stata il rifugio di vari popoli in epoche diverse. Il territorio fu incorporato in importanti imperi, tra cui l’impero achemenide, l’impero macedone, l’impero maurya e l’impero arabo. Nel nord-ovest del Paese si trova il corridoio del Wakhan, l’angolo perduto dell’Afghanistan dove guerre e talebani non sono mai esistiti Questo inospitale corridoio vicino al confine con Tagikistan, Cina e Pakistan è stato tenuto fuori dalle turbolenze grazie alla sua lontananza e protetto da alte montagne e aspre valli. Creato nel 19° secolo, il Wakhan Corridor si trova alla confluenza di tre alte catene montuose, sulla punta occidentale dell’Himalaya, dell’Hindu Kush, del Karakorum e del Pamir. Ha una lunghezza di 350 km per una larghezza massima di 60 km, supera i 3.000 m di altezza ed è spesso spazzata via dai venti. L’accesso è difficile e possibile solo attraverso strade sconnesse e solo a cavallo o yak, oa piedi. Les “Pamiris”, come vengono chiamati gli abitanti di Wakhan nel resto dell’Afghanistan, convivono con un piccolo gruppo di kirghisi. Sono musulmani ismailiti, ma il burqa, simbolo onnipresente dell’oppressione delle donne in gran parte del Paese, non è loro familiare. Questi nomadi vivono al ritmo dei loro yak e di altro bestiame, che barattano in cambio di grano, riso o vestiti con i mercanti che si recano nel corridoio dalle regioni vicine.
In passato l’Afghanistan all’epoca in cui ci sono stato, l’ho conosciuto come un paese bello e amichevole, famoso nella comunità dei viaggiatori per la sua impareggiabile ospitalità, per la fantastica cucina, per le splendide escursioni e… ebbene sì, diciamolo pure, per il suo hashish leggendario. Ora le cose sono molto cambiate. Dopo più di 20 anni di guerra il territorio afghano è cosparso di mine, e molti dei monumenti e minareti più belli sono ridotti a cumuli di macerie. Il conflitto ha lasciato dietro di sé una povertà che ha imposto un pesantissimo tributo alla popolazione e ha incoraggiato il furto e la vendita di tesori nazionali di valore inestimabile. Dal 1996 al 2001 la teocrazia musulmana ortodossa dei talebani assunse il controllo del paese e diede rifugio a terroristi quali il facoltoso esule saudita Osama bin Laden. L’Afghanistan divenne oggetto dell’ira del mondo occidentale in seguito al bombardamento di due ambasciate statunitensi e, più recentemente, agli attentati terroristici contro il World Trade Center e il Pentagono. Oggi il paese sta compiendo piccoli passi verso il ritorno alla normalità. Il cammino da percorrere non è facile e disseminato di ostacoli. Ma gli afghani desiderano la pace più di ogni altra cosa e la loro capacità di recupero è la migliore garanzia per il futuro.
Ho conosciuto Mario Gerardi molto tempo fa grazie a delle bellissime foto sull’Afghanistan che ha pubblicato nel magazine mensile “Gente viaggi”. Pur trattandosi “solamente” di foto, e ho deciso di interessarmi alla sua storia. L’ho quindi contattato per sapere se era disponibile a raccontarmi questo suo incredibile viaggio che aveva fatto tanti anni fa in Afghanistan, un paese che mi affascina da sempre e che, purtroppo, è considerato oggi tra i più pericolosi del mondo.
Questa è la sua storia e quella del suo fantastico viaggio.
Mario Gerardi è nato e viveva a Roma. Dopo la maturità Classica si è iscritto a Giurisprudenza laureandosi in Indirizzo Forense cui sono seguiti una breve esperienza di praticantato legale, lavori saltuari, un Master, varie collaborazioni in teste giornalistiche web e una proficua collaborazione con l’Unicef Italia, di cui è stato anche fotografo. Successivamente ha deciso di investire tempo ed energie professionali nel settore turistico e nella valorizzazione del suo territorio. Deceduto qualche anno fa.
Appassionato di fotografia, viaggia con la sua moto Ducati e zaino in spalla in solitaria da oltre 10 anni e ha visitato 40 nazioni nei 5 continenti affrontando itinerari e mete decisamente insolite e inusuali. Un viaggio su tutti: nel 2010 ha attraversato l’intero continente Africano da nord a sud, da Alessandria d’Egitto fino a Cape Town, in solitaria, utilizzando unicamente la sua moto ed alcuni mezzi di trasporto pubblico. Come dice lui stesso “Preferisco viaggiare in solitaria utilizzando esclusivamente la mia moto o mezzi di trasporto pubblici, perché mi affascina da sempre l’idea di confrontarmi con le difficoltà logistiche cui vanno incontro le persone del posto. Amo i lunghi spostamenti, quelli in cui la lentezza del viaggio fa in modo che tu possa reinterpretare i confini di tempo e di spazio cui sei abituato. Sono innamorato di quel senso di comunità che si crea nei lunghi viaggi in treno, barca o bus in cui si condividono tempo, spazio, cibo, attese, ansie e difficoltà e si raccontano storie, arrivando a destinazione con una nuova, piccola famiglia. Una sorta di viaggio nel viaggio”.
Quando sei partito e quanto è durato il viaggio in Afghanistan
Sono partito il 22 settembre 2012. Il mio viaggio è durato circa due settimane. Purtroppo ci sono dei vincoli burocratici legati al visto “turistico” che difficilmente consentono permanenze più lunghe. La lunghezza del visto è determinata dal proprio piano dei voli e dal dettagliato programma di viaggio giornaliero richiesto in cui è necessario indicare e descrivere, giorno per giorno, i posti che si intendono visitare.
Quando hai iniziato a pensare di andare in Afghanistan e perchè (sei stato già in Pakistan o in altri paesi limitrofi?)
La scelta dell’Afghanistan è nata in modo abbastanza casuale. In realtà il mio progetto originario era quello di attraversare l’Asia via terra, partendo dall’Italia fino a Pechino, passando per l’Europa dell’Est, Turchia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakistan, Cina, senza toccare l’Afghanistan e ripercorrendo, con alcune deviazioni, una delle antiche Vie della Seta. Durante le mie ricerche sull’Asia centrale, in modo fortuito, mi sono imbattuto in alcuni articoli e fotografie che raccontavano la storia e alcuni itinerari dell’Afghanistan prima della crisi medio-orientale, cercando di offrirne una panoramica più ampia e articolata rispetto a quella che ci propinano i media occidentali di oggi. E’ stato amore a prima vista! Nelle settimane successive ho cercato di affinare le mie ricerche e ho iniziato a sentire un’inspiegabile empatia con questa nazione. Il resto è venuto da se in modo del tutto naturale, inducendomi ad accantonare il mio vecchio progetto, per la lanciarmi in questa nuova avventura.
In alcuni viaggi precedenti ero stato in Cina, Myanmar e Pakistan, ma, a conti fatti, posso dire che l’Afghanistan rappresenta davvero un mondo a parte, che non ha paragoni con i paesi confinanti.
Quanto hai impiegato per preparare e organizzare il viaggio (tempi dei visti, permessi, ecc ma non solo) e dove hai reperito le informazioni pratiche sul paese (cosa vedere, come spostarsi, dove dormire, ecc)? Non credo esista la Lonely Planet dell’Afghanistan.
L’ottenimento del visto ha richiesto, tra preparazione della documentazione e tempi consolari, circa un mese. Reperire informazioni è stata una delle più grandi difficoltà. Le guide turistiche aggiornate sono assenti e anche nei blog o nei forum di viaggio le fonti sono scarse. Tuttavia questo mi ha consentito di prepararmi andando oltre gli schemi e le standardizzazioni di un viaggio “classico” e, anche se è stato molto impegnativo, ha rappresentato una bellissima prova di maturità da viaggiatore. Ricordo le nottate trascorse sui libri o in ricerche sul web, cercando faticosamente di costruire il viaggio passo passo, come piccole tessere di un mosaico. A differenza di altri viaggi ho cercato di investire molto del mio tempo anche in ricerche storiche, religiose, sociologiche con l’intento di arrivare lì preparato. Per vivere l’esperienza di una realtà così complessa in piena consapevolezza era necessario avere una solida base di partenza. Ovviamente un altro aspetto fondamentale è stato il reperimento delle informazioni relative alla sicurezza. La scelta di spostamenti e alloggi ho deciso di lasciarla, forse incosciamente, a quando mi sarei trovato sul posto e con il senno del poi posso dire che è stata la scelta giusta.
Hai potuto scegliere liberamente che itinerario seguire o ti hanno imposto dei vincoli legati a problemi di sicurezza/geopolitica?
Come viaggiatore individuale non mi è stato posto alcun vincolo. Tuttavia le ragioni di sicurezza mi hanno indirettamente imposto alcune scelte. Purtroppo mi sono dovuto precludere le aree meridionali e sud-orientali del paese, quelle che rappresentano, forse, in modo più vivido la varietà etnico-tribale dell’Afghanistan. Sono stati molto preziosi gli orientamenti della Farnesina e le informazioni reperite da varie fonti ufficiali e non. Nonostante il rischio di attentati ed attacchi sia generalizzato e presente sia nelle grandi città – a partire dalla capitale – che nelle zone rurali, ho cercato di ridurre al minimo i fattori di rischio senza precludermi, nei limiti del possibile, una certa libertà di movimento che è alla base del mio ideale di viaggio.
Sei entrato in Afghanistan via terra o con un volo? Come ti spostavi?
Sono entrato e uscito dall’Afghanistan in aereo con un volo di linea della Turkish Airlines. Gli spostamenti interni li ho effettuati via terra, con mezzi volutamente di fortuna (camion, carretti, moto, macchina), quando mi è arrivata la moto ho continuato da solo. Come detto in precedenza anche le principali arterie di trasporto terrestre non sono immuni dal rischio di attentati e imboscate che coinvolgono spesso anche persone del posto, per cui ho cercato di essere meno identificabile possibile, anche con un’accurata scelta dell’abbigliamento.
Qualcuno mi ha detto che noi occidentali possiamo viaggiare in Afghanistan solo scortati. È vero?
Evidenti ragioni di sicurezza suggeriscono la scorta. Da un punto di vista strettamente “normativo” questo non è imposto. Tuttavia sia il governo italiano che quello afghano sconsigliano fortemente di utilizzare mezzi di trasporto pubblico e di evitare spostamenti a piedi o nelle ore notturne, esortando a viaggiare, laddove possibile, in convoglio. Ovviamente quest’ultima opzione, avendo deciso di partire come viaggiatore “indipendente”, non l’ho presa neanche in considerazione. Aldilà delle limitazioni “imposte” è necessario adoperare una serie di cautele che, seppur non azzerano i rischi li diminuiscono fortemente, come evitare di attirare l’attenzione usando l’abbigliamento tipico e non dare appuntamenti in posti prefissati a persone che non si conoscono. Io, ad esempio, trasportavo la macchina fotografica e videocamera in un sacco di patate procuratomi al mercato proprio per poter camminare a piedi in perfetto anonimato e ho sempre utilizzato abiti tradizionali afghani.
Qual’è il luogo che ti è piaciuto di più e perché
Veramente difficile scegliere. Kabul è una delle capitali più belle ed enigmatiche che io abbia mai visto, sia da un punto di vista morfologico che storico ed è il sincero specchio di tutte le contraddizioni di questa nazione. Il mercato degli uccelli “Ka Faroshi”, in pieno centro storico, è unico nel suo genere e rappresenta un autentico spaccato della società afghana. E’ una zona antica, dai vicoli stretti, in cui il sole entra con timidezza anche in pieno giorno. Un fiume di gente che va e viene, contratta, discute. Meravigliosa anche la Moschea Masjid-e Jamu di Herat, all’interno della quale i Maestri Sufi mi hanno concesso il raro onore sia di scattare fotografie che di girare video durante la preghiera serale.
C’è un episodio particolare in cui hai pensato di essere seriamente in pericolo?
Non ci sono stati episodi in cui mi sono sentito concretamente in pericolo, tuttavia gran parte delle zone, specialmente a Kabul e Mazar-i Sharif, sono fortemente militarizzate, con un’ ingente presenza di forze armate e di sicurezza, checkpoint e barriere in cemento e filo spinato sia in centro che fuori dai perimetri cittadini. Quasi a voler ricordare che non si è mai veramente al sicuro.
Un episodio super positivo che ti ha colpito?
Ci sarebbero molti episodi da raccontare, perché l’ospitalità e la gentilezza del popolo afghano sono state una costante durante tutto il mio soggiorno. La cosa che mi ha maggiormente sorpreso in positivo è stata l’assoluta disponibilità delle forze di sicurezza afghane nei miei confronti. Sono stato accolto con grande gentilezza e ampi sorrisi e quasi sempre esentato dai lunghi controlli e dalle perquisizioni. Forse l’episodio più bello e significativo di tutti è stato quando, una notte, le guardie armate poste a sorveglianza della Moschea Shrine of Hazrat Ali – meglio conosciuta come Moschea Blu – a Mazar-i Sharif, mi hanno aperto appositamente i cancelli affinché potessi “fare foto e mostrare la bellezza della loro città al mondo”. Passare un paio d’ore con loro, in un silente clima surreale di stelle, luna e una luce sottile che si rifrangeva sulle piastrelle lucide che ornavano la Moschea è stata un’esperienza che mi ha riconciliato con il mondo.
Come descriveresti gli afghani? Quanto hai interagito con loro?
E’ un popolo forte e fiero e con una radicatissima identità culturale che si esprime a 360° in tutti i settori del loro vivere sociale: da quello religioso a quello culinario, passando per l’abbigliamento, usi e costumi . Il modo in cui la società afghana è attraversata dalla modernità è del tutto peculiare. C’è una perenne commistione tra novità e tradizione ed è un popolo che ha la capacità di reinterpretarsi continuamente. Nonostante siano manifesti i segni di guerra, povertà, carestia, attentati (e di tutto quel micro e macrocosmo di infausti avvenimenti che perseguitano la popolazione da centinaia di anni, segnandone inevitabilmente il tessuto sociale) c’è una grandissima voglia di vita, di cambiamento e rinascita, un febbrile e magnetico fervore esistenziale e un calore umano assolutamente inaspettato.
E l’Afghanistan? Kabul? So che ci sono delle bellezze naturali incredibili
L’Afghanistan gode di bellezze naturalistiche e storiche che la rendono una delle mete più belle del Medio Oriente. Dalla Valle di Bamiyan ai laghi blu cobalto di Band-e Amir, i monti del Koh-e Baba, passando per il Corridoio di Wakhan nell’alto Pamir, il tunnel di Salang che collega l’Hindukush a Kabul, la catena del Karakoram, fino alle aree tribali orientali del Nurista di cui si racconta nel libro “ A Short Walk in the Hindu Kush” di Eric Newby. Purtroppo operazioni militari e scontri tribali rendono off-limits alcune di queste meravigliose zone. La stessa Kabul, che sorge su una pianura delimitata dalle montagne dell’Hinukush, ed è tagliata in due dal fiume omonimo, è una città vivace con una morfologia che la rende unica rispetto a qualsiasi altro posto al mondo. Un assembramento urbano in una zona montagnosa arida e surreale, nel mezzo di una pianura asimmetrica intervallata da piccole colline costellate da irregolari e disordinate case colorate, punteggiata da laghi e da qualche sparuto angolo verdeggiante (come ad esempio i meravigliosi giardini di Bagh-e Babur).
Hai incontrato altri turisti?
No, non mi è capitato di incontrare altri turisti occidentali. E’ comprensibilmente una meta totalmente fuori dal circuito turistico sia dei viaggiatori indipendenti che dei tour operator e io stesso non mi sento di consigliarla, neanche avvalendosi di tour operator specializzati.
È ancora così pericoloso come dicono? È il viaggio più pericoloso che tu abbia mai fatto?
E’ una nazione la cui strada per la pace e la ricostruzione è ancora lunga e complicata. Al momento la presenza militare sia interna che straniera è molto forte. Sono varie le operazioni dei contingenti dislocati sul territorio ed è alta la conflittualità fra gruppi tribali. La presenza di gruppi terroristici o di semplici banditi è molto radicata. Le tensioni sociali e gli attentati sono frequenti, sia nelle grandi città che nei piccoli centri e prendono di mira sia le istituzioni nazionali che quelle straniere, nonché alcuni dei loro stessi luoghi di culto. Il conflitto etnico-religioso tra sciiti e sunniti risulta ancora drammaticamente irrisolto.
Tuttavia è difficile stabilire un’esatta corrispondenza tra narrazione dei mass-media e situazione reale. La percezione è di un paese poco sicuro e molto caotico, che cerca di reagire in modo disordinato e disorganico. I servizi di sicurezza, per quanto presenti in grande numero e ben dislocati, hanno grosse difficoltà logistiche e organizzative che non li rendono efficienti. Inoltre è piuttosto evidente che non tutto il personale è adeguatamente addestrato e preparato.
Non saprei dire se è stato il viaggio più “pericoloso” che ho fatto. Sicuramente è stata una delle nazioni dove ho percepito un maggiore grado di insicurezza, nonostante non mi sia accaduto, in concreto, alcun evento spiacevole.
Come viene vissuta la guerra? Hanno ripreso una vita che si può definire normale?
La vita dell’afghano medio è ben distante dalla normalità, per quanto ci si sforzi di andare avanti nonostante tutto e di vivere una quotidianità comune. Ascoltando le storie di chi ho incontrato mi sono reso conto che quasi tutti avevano subito uno o più lutti in famiglia, che fosse per la guerra, per qualche bomba o per gli attentati. C’è un diffuso stato di rassegnazione a una condizione che perdura da troppo tempo e che oramai viene interpretata come una situazione ineluttabile da cui non è possibile redimersi . Inoltre ho notato una certa reticenza a parlare della situazione socio-politica attuale. Talebani, Daesh e la presenza di contingenti militari stranieri sono, per molti, un argomento tabù o comunque su cui non si hanno le idee chiare. Questo comporta una strutturale difficoltà nel creare un fronte comune e trovare soluzioni condivise e omogenee. Da esterno l’impressione che ho avuto è di una società sfibrata, lacerata sia interiormente che esteriormente e ancora fortemente divisa, ma che , al tempo stesso, ha tutte le risorse per rigenerarsi e ripartire. C’è ancora una percepibile forza nel popolo afghano.
Secondo te per una donna sarebbe più difficile fare questo viaggio?
La maggior parte dei problemi di sicurezza che riguardano un eventuale viaggio in Afghanistan accomunano sia donne che uomini nella stessa misura. Tuttavia è innegabile che il ruolo della donna nell’Islam afghano è totalmente definito e imbrigliato dalla religione sia in termini di abbigliamento che di comportamento o di semplice presenza in specifici luoghi. Una viaggiatrice dovrebbe adoperare particolari e maggiori cautele e verrebbe generalmente guardata con maggiore attenzione e sospetto, specialmente se sola e priva di una compagnia maschile. Bisogna realisticamente considerare che non tutti gli afghani sono culturalmente aperti all’idea della donna come la intendiamo noi occidentali e questo, in un eventuale viaggio, non va sottovalutato.
Quanto è lontana la realtà dell’Afghanistan di oggi da quello che arriva a noi dalla TV e dagli altri media?
Più che lontana direi che arriva una verità parziale e settorializzata. Si parla dell’Afghanistan esclusivamente per vicende politiche, operazioni militari e terrorismo, mettendo in (colpevole) secondo piano aspetti sociali, culturali, religiosi e soprattutto non si considerano mai i delicati equilibri tra le varie comunità tribali, la cui risoluzione, a parer mio, è la chiave di volta per avviare uno stabile e duraturo processo di ristrutturazione della società afghana . Tutto questo non consente di inquadrare in una corretta dimensione l’Afghanistan di oggi, la cui storia passata ha ancora un consistente peso specifico nel processo di stabilizzazione che si sta cercando faticosamente di attuare in questi ultimi anni. La maggior parte dei media occidentali si occupa di raccontare in superficie gli eventi di cronaca, senza scavare nel fondo di una società articolata e pulviscolare che per qualità e complessità meriterebbe di essere studiata e indagata con più attenzione per essere concretamente capita non solo dagli “addetti ai lavori” ma anche dalle persone comuni.
Pensi che l’Afghanistan possa tornare ad essere una meta turistica (come era negli anni ’70) in un tempo ragionevole?
Davvero complicato fare previsioni, penso di no, comunque. Se si guarda alla situazione attuale, partendo dal nodale ritrovamento di equilibri politici e sociali interni che sono ancora in fase di incerta ed imprevedibile transizione, è difficile ipotizzare un ritorno dell’Afghanistan sul palco del turismo internazionale in tempi brevi. Ovviamente spero di sbagliarmi, perché la cultura afghana rappresenta, nonostante tutto, una straordinaria finestra sul mondo.
Quali sono i tuoi progetti presenti e futuri?
Da qualche anno intervallo la passione dei viaggi con delle Mostre fotografiche in cui espongo scatti che raccontano principalmente la storia di identità tribali violate dalla modernità e da i governi centrali di riferimento, che spesso tolgono loro terre, bestiame, case e cercano di indurle alla rinuncia delle loro tradizioni confinandole in aree aride e remote dei rispettivi paesi. In alcune di esse sono stato affiancato da Associazioni che promuovono raccolte fondi per progetti di volontariato e cooperazione internazionale – ho contribuito alla costruzione di un reparto di chirurgia pediatrica in Repubblica Democratica del Congo, ad un progetto alimentare in Uganda e alla costruzione di una casa-Famiglia in Benin e curo personalmente un sito web per la tutela, promozione e sviluppo dei Pigmei Batwa che abitano i margini della foresta Echuya in Uganda: un progetto in un contesto complicato in cui mi sto impegnando, con molte difficoltà, in prima persona e che mi sta davvero a cuore. Tuttavia in questo momento ho deciso di accantonare temporaneamente le esposizioni fotografiche, poiché sento l’esigenza di dare un taglio narrativo differente ai miei racconti di viaggio. Ci sono alcuni progetti in fase embrionale su cui sto lavorando, da un libro, che possa essere più che un diario di viaggio una sorta di piccolo patrimonio spirituale dei miei primi 10 anni da viaggiatore, fino ad una serie di incontri in cui sia possibile intervallare la fotografia con una interazione diretta ed immediata con chi è interessato a saperne di più riguardo le mie esperienze.